Foto LaPresse

Conseguenze di Visco

Alberto Brambilla

La spericolata idea della nazionalizzazione di Bankitalia e la pista inglese pro-trasparenza

Roma. Dopo una settimana di polemiche sul rinnovo del suo incarico, il neo-nominato governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, alla prima uscita pubblica ha difeso l’operato della vigilanza a tutela del sistema finanziario italiano che negli ultimi due anni ha visto il collasso di dieci istituti di credito. Ieri alla Giornata del risparmio, happening annuale dell’Acri, l’associazione delle fondazioni bancarie di Giuseppe Guzzetti, Visco ha affermato che Banca d’Italia non può né annullare “la probabilità che si verifichino crisi bancarie” né “fare ricorso ai poteri che la legge riserva all’Autorità giudiziaria e alle forze di polizia” per stroncare casi di mala gestione. In seguito alla nomina venerdì scorso, decisa in concerto dal governo e dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in contrasto con il segretario del Partito democratico, Matteo Renzi, Visco non ha insomma mostrato segni di resipiscenza per la gestione deficitaria delle crisi bancarie che viene imputata all’Istituto dalla politica. Dopo la mozione del Pd, insieme ad altre due (Movimento 5 stelle e Sinistra Italiana), che ne chiedeva la rimozione per logiche elettorali, la conferma di Visco per altri sei anni certo assicura l’autonomia dell’Istituto dai partiti e la credibilità del sistema mettendo fine “a una triste vicenda di degrado della politica”, come ha scritto Francesco Capriglione, ordinario di Diritto dell’economia all’Università Guglielmo Marconi di Roma, in un articolo sulla rivista dirittobancario.it.

 

Tuttavia la diatriba ha (ri)aperto diverse brecce nel fortino di Palazzo Koch. La commissione parlamentare di inchiesta sulle crisi bancarie, presieduta da Pier Ferdinando Casini, ha fatto emergere la circostanza di alcuni ex funzionari di Banca d’Italia che sono stati assunti dalla Popolare di Vicenza di Gianni Zonin. La vicenda secondo Banca d’Italia non è rilevante, ma torna a fare discutere del potenziale conflitto di interessi tra il controllore e i controllati dal momento che la proprietà della Banca d’Italia è suddivisa tra le banche private. Il problema è stato in teoria risolto con la “legge sul risparmio” del 2005 neutralizzando il potere decisionale degli azionisti che non possono influenzare la nomina del governatore (a questo giro Carlo Messina di Intesa Sanpaolo, primo socio di Banca d’Italia, si era lasciato sfuggire la preferenza per il vicedirettore generale Fabio Panetta, ma senza conseguenze) né hanno potere decisionale. Tuttavia l’argine non sarebbe assicurato: ogni governatore può interpretare quel ruolo in modo discrezionale. Stefano Cingolani sul Foglio del 28 ottobre ha ricordato che per risolvere alla radice il problema nel 1997 Enrico Cuccia, patron di Mediobanca, aveva proposto la nazionalizzazione di Banca d’Italia attraverso il “ricollocamento presso il Tesoro delle quote costituenti il capitale di Banca d’Italia”. Il capitale di Banca d’Italia vale circa 7,5 miliardi e le banche e assicurazioni azioniste (Intesa, Unicredit, Generali in testa) dovrebbero vendere la quota eccedente il 3 per cento a enti pubblici, sul modello francese.

 

Ci sono controindicazioni alla nazionalizzazione, che derivano dalla logica statalista dell’operazione, ma anche sviluppi potenzialmente positivi, che dovrebbero rispondere a logiche di mercato. Una nazionalizzazione comporterebbe la liquidazione delle quote in favore delle banche, che ne avrebbero immediati benefici patrimoniali, e un’emissione di debito di pari ammontare da parte del Tesoro; il che in un contesto di attenzione massima ai saldi di finanza pubblica è borderline. Altro rischio è che si accentuino aspetti deteriori di gestione dell’apparato che sono più forti nel pubblico che in istituzioni alla frontiera della competizione internazionale. Per dire, contestualmente alla conferma di Visco sono stati promossi di funzione e salario 1.706 dipendenti di Banca d’Italia, e i sindacati del personale hanno protestato perché molti sono rimasti esclusi o non sono state ascoltate certe richieste. Il primo atto del Visco bis non è stato il massimo della delicatezza istituzionale. Ma è possibile sperare che una Banca d’Italia pubblica migliori il modus operandi rispetto a quella “privata”? Dopodiché in Francia, Germania e nel Regno Unito le Banche centrali hanno un filo diretto con il governo o con il Tesoro. L’esempio inglese è probabilmente un’avanguardia.

 

Il capitale di Bank of England (BoE) è totalmente posseduto dal governo inglese che ne indica il governatore, e la Corona approva. La BoE lo fa però attraverso un meccanismo di selezione aperto, con un bando internazionale per l’incarico su modello aziendale. Nel 2012 è stato scelto Mark Carney il quale non aveva partecipato al certame ma è stato il primo governatore straniero (canadese) in terra di Sua Maestà che ha iniziato il mandato con una revisione delle decisioni della BoE per rispondere alle critiche su comportamenti opachi. Forse è utile seguire Londra, senza arrivare a invocare un “governatore straniero”. 

Di più su questi argomenti:
  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.