Rasoiate di buon marxismo per spiegare che il capitale vale, e va scalato. Come fa Macron
Chiunque osservi il mondo del XXI secolo capisce, basta leggere le memorie di Varoufakis, mica i libri di Hayek e di Friedman, che rispetto alla geniale narrazione di Marx un altro mondo è stato possibile. Il nostro
Quelli che come Clinton, Blair, Schröder e Renzi fanno o hanno fatto da sinistra una politica liberale e pro mercato, e che passano regolarmente i tre stadi arbasiniani della giovane promessa, del venerato maestro e del solito stronzo (credo di avere opportunamente invertito i due ultimi termini), si discolpano ciascuno a suo modo per sfuggire alla nebulosa dottrina della sinistra-sinistra. Macron ha il vantaggio sugli altri di non essere un uomo di partito e di aver popolarizzato e portato al potere una coalizione né di destra né di sinistra, con i postsocialisti e i postgollisti imbarcati nel partito e nel governo. Ora tutti i benpensanti, che sono quel che resta della lotta di classe, lo chiamano il presidente dei ricchi, cosa non particolarmente originale visto che di mestiere faceva il banchiere dai Rothschild. E lui si è discolpato così: in un’arrampicata, ha detto, non bisogna tirare sassi a chi tira la cordata, sennò viene giù tutto. Puntigliosi, gli oppositori del moralismo socialista e la destra sociale gli hanno replicato che in cordata agisce una logica cooperativa, e tutti hanno l’eguale interesse ad arrivare in cima, mentre nella società esiste il conflitto tra i primi e gli intermedi e gli ultimi, eppoi – come dubitarne? – c’è la diseguaglianza, l’inegalité.
Chi ha ragione? Vediamo. Marx aveva i suoi profetismi, lirismi e onirismi ma era anche un po’ scienziato. Fatta l’anatomia della società civile borghese della metà Ottocento, con la rivoluzione industriale in corso, i proletari, le catene e tutto, stabilì che nel capitalismo si manifestava il conflitto tra capitale e lavoro, ma non per vaghe ragioni morali. Il capitalismo è un rapporto sociale, diceva, e i padroni dei mezzi di produzione acquistano la forza lavoro che è una merce speciale, umana, le mani callose e tutto. Questa compravendita o sfruttamento è il luogo primario del conflitto, della lotta di classe, il livello del salario e quello del profitto ne sono gli indicatori, lo stato e le sovrastrutture politiche stanno in mezzo (i governi sono comitati d’affari della borghesia, e le masse della Comune danno la scalata al cielo). E’ una semplificazione corsivistica, ma non troppo. Le ipercomplicazioni richiedono rasoiate.
Ora chiunque osservi il mondo del XXI secolo capisce, basta leggere le memorie di Varoufakis, mica i libri di Hayek e di Friedman, che rispetto alla geniale narrazione (ooops) di Marx un altro mondo è stato possibile. Il nostro. I conflitti restano, e sono dovunque rintracciabili. Ma la lotta di classe dell’Ottocento e del Novecento è via via svanita. Non parliamo delle tecnologie e della globalizzazione, ché è troppo cool, limitiamoci a dire che il comunismo è diventato folklore, mentre socialdemocratici superstiti, neoliberali e conservatori, Tsipras compreso, sono tutti d’accordo sul fatto che lo stato, alle prese con l’economia e con la sua dimensione finanziaria sempre più decisiva, deve liberare spiriti animali, promuovere l’impresa e la creazione di ricchezza senza premiare la speculazione, proteggere e redistribuire senza indebitarsi al casinò e senza fare della giustizia sociale e dell’eguaglianza due sassi belli grossi da tirare in testa a chi tira la cordata. Altrimenti è un casino. Non ha dunque tutti i torti il presidente dei ricchi che modula l’imposta patrimoniale per stimolare gli investimenti e ristruttura la spesa pubblica e sociale per incentivare la creazione di lavoro e limare le rendite (ci sono anche quelle). L’alternativa si chiama Maduro.
festa dell'ottimismo