L'Italia tornerà protagonista solo se punterà di più sull'Europa. Un appello

Andrea Orlando

Perché per il Partito democratico è necessario mettere al centro della sua azione il ruolo dell’Italia nell’Unione europea. Ci scrive il ministro della Giustizia

Caro Presidente Orfini,
Ti scrivo perché nel dibattito politico italiano c’è un’assenza di cui il Partito democratico dovrebbe farsi carico. Manca l’Europa in Italia, così come manca l’Italia in Europa. Settembre è stato il mese del Discorso sullo stato dell’Unione di Juncker, delle elezioni tedesche, del discorso alla Sorbona di Macron. Ottobre si apre con le drammatiche notizie della Spagna. In tutto questo, l’Italia dov’è? Il Pd dov’è? Tocca a noi rispondere. Propongo per questo di mettere al centro della nostra discussione nella prossima direzione nazionale il ruolo che l’Italia può giocare in Europa. L’Europa, nella storia recente del nostro partito, è stata una grande opportunità e un’occasione perduta.

 

Pensiamo al risultato elettorale del 2014. Certo, il capitale politico con cui il Pd si è presentato in Europa ha reso possibile gli spazi di flessibilità, l’orientamento verso la crescita del “sentiero stretto” della nostra finanza pubblica. Ora si tratta di rendere l’Italia protagonista e influente nella nuova stagione dell’integrazione europea che si sta aprendo. Con proposte e azioni concrete, per trasformare le parole in fatti.

 

Nel suo discorso, per combattere più efficacemente il terrorismo, Juncker ha indicato l’esigenza di allargare i compiti della procura europea ai reati di terrorismo transfrontaliero. Si è trattato di un importante riconoscimento della posizione dell’Italia.

 

Credo che nella vicenda della procura europea ci sia una lezione più generale per l’azione dell’Italia in Europa, che abbiamo ritrovato, nel governo Renzi e nel governo Gentiloni, anche nelle proposte sul Migration compact, o sulle regole per gli investimenti stranieri. Se uniamo i punti, ci rendiamo conto di quanto essere propositivi sul piano europeo ci convenga e ci rafforzi. E’ possibile conciliare i nostri interessi nazionali con l’interesse europeo, spiegando le nostre posizioni e costruendo una coalizione di paesi consapevoli delle nostre buone ragioni su temi comuni, dall’immigrazione alla politica commerciale. Per una vera controffensiva europeista, dobbiamo affrontare in modo ambizioso e realista le questioni poste da Juncker e Draghi: sulla sicurezza, sul Mediterraneo, sullo sviluppo sostenibile, sul digitale, sulla concorrenza, sulla convergenza sociale e fiscale, e ovviamente sul governo economico dell’euro. Qual è l’opinione dell’Italia sull’Agenzia europea dell’innovazione proposta da Macron? Su quali settori, anche in riferimento alle nostre capacità nella robotica e nella biotecnologia, vogliamo che si concentri? Tocca a noi rispondere.

 

Come ha osservato Mario Draghi, nell’Unione europea oggi abbondano le “case costruite a metà”: progetti comuni iniziati e poi non portati avanti con sufficiente convinzione, dove non è chiaro chi fa cosa, e quindi non si ottengono risultati adeguati. Quali “case costruite a metà” e “case divise” vogliamo unire, come Partito democratico? Stare in Europa, in questa fase, per l’Italia vuol dire “mettere la nostra casa in ordine” e quindi approvare una nuova legge elettorale, che garantisca maggiore stabilità rispetto alla legge disomogenea ora in vigore. Ma vuol dire anche agire con ancor più determinazione sull’azione propositiva.

 

Per esempio, dobbiamo legare l’ambito nazionale a quello europeo sulla prospettiva che la Dichiarazione di Roma a marzo ha riportato al centro dell’attenzione: il pilastro sociale. Questo è un obiettivo alto su cui dovrebbe ritrovarsi tutto il centrosinistra, e che il Pd deve portare al centro della sua proposta programmatica, perché su un vero impulso sociale ci giochiamo moltissimo. Dobbiamo mettere le infrastrutture sociali al centro di una nuova fase del Piano Juncker, con il contributo degli Istituti nazionali di promozione, in un’azione più incisiva sugli investimenti, anche a partire dai lavori della High-Level Task Force on Social Infrastructure presieduta da Romano Prodi. L’unico modo di rendere la ripresa sostenibile è ricostruire la fiducia tra i cittadini e intervenire sulle divisioni che la crisi ha aggravato. Come proposto da Draghi nel suo discorso in Irlanda sulla disoccupazione giovanile, occorre inoltre rafforzare strumenti già esistenti, come il Fondo Sociale Europeo e lo European Globalisation Adjustment Fund.

 

I contenuti non mancano, ma la chiave di tutto sta in una scelta politica chiara e senza ambiguità. Il Pd deve fare suo un messaggio fondamentale: non possiamo permetterci di avere una classe politica e amministrativa priva di una vera impronta europea. Non possiamo tirarci indietro nella discussione sul futuro dell’Europa, dobbiamo giocare un ruolo da protagonisti, nella formazione, nell’innovazione politica, nei rapporti culturali con gli altri paesi. Il Pd può e deve essere un partito europeo, promuovendo un rapporto più maturo dell’Italia con l’Europa e un forte impegno nazionale per dare concretezza e prospettiva all’Europa sociale. E’ questo il momento, per il Pd, di portare l’Italia al centro della discussione europea. Questa scelta politica potrebbe essere resa emblematicamente raccogliendo l’invito di richiamare la bandiera europea nel nostro simbolo.

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