La nave Vos Prudence di Medici Senza Frontiere (foto LaPresse)

Dove porta la linea sballata di Msf sulla politica per i migranti

Redazione

Come osa questo governo ridurre il numero di persone affogate nel Mediterraneo (5 mila soltanto nel 2016)? Lo scontro tra la ong e l'esecutivo

Questa cosa che l’accordo italo libico per far cessare le partenze con i barconi sta mostrando qualche risultato – partenze in nettissimo calo e quindi niente morti in mare – non va proprio giù e scatena reazioni scomposte. Medici senza Frontiere scrive una lettera aperta per ricordare che i migranti sono costretti a stare in condizioni orribili nei centri di detenzione in Libia. “Bisogna fermare subito la terribile violenza perpetrata contro queste persone. Bisogna assicurare un rispetto basilare per i loro diritti umani, tra cui un adeguato accesso a cibo, acqua e cure mediche”. Allora ricapitoliamo cosa succede, perché è come se molti avessero scelto di ignorare apposta alcuni aspetti fondamentali della situazione. L’anno scorso più di cinquemila migranti sono morti annegati mentre tentavano di attraversare il Mediterraneo. Msf ha lanciato un’iniziativa di soccorso in mare, assieme a molte altre ong, ma non riusciva a bloccare questa ecatombe. Il primo diritto umano da rispettare è il diritto a non affogare mentre si è in mano a bande di criminali sfruttatori e l’accordo tra Unione europea e Libia, di cui l’Italia si è fatta avanguardia, va proprio in questa direzione. Meno partenze, meno stragi. Come si fa a essere contro a questo tentativo? E ora veniamo alla questione dei centri di detenzione libici, che ovviamente non nasce adesso: i centri di detenzione c’erano anche prima ed erano molto violenti anche prima, anche l’anno scorso, quando in acqua c’erano le navi delle ong ma migliaia di migranti affogavano lo stesso. Anche la lettera di Msf ci ricorda che i centri di detenzione non sono un problema di oggi: “Medici Senza Frontiere (MSF) ha assistito le persone nei centri di detenzione di Tripoli per più di un anno e ha visto con i propri occhi…”. Ora, il ministro dell’Interno italiano non sta ignorando la questione: ha già detto e ridetto che migliorare le condizioni dei centri di detenzione e infine svuotarli con l’aiuto delle Nazioni Unite è una priorità, ma è anche ovvio che non succederà in un giorno. Msf è un’associazione abituata a lavorare in condizioni difficili e dovrebbe saperlo. Ripetiamo. Il ministro dell’Interno italiano considera una priorità del suo lavoro migliorare le condizioni dei migranti africani bloccati in Libia: ma neanche questo va bene.

 

E’ come se le ong che non riuscivano a risolvere il problema considerassero il governo italiano come un’entità soprannaturale, che schiocca le dita e ottiene la stabilizzazione della Libia. Ci sta lavorando. Non si erano mai visti risultati così promettenti, e se il meccanismo di collaborazione fra Italia e Libia darà gli stessi risultati anche per la condizione dei migranti a terra allora sarà un successo notevole.

 

Il problema è che mentre l’Italia si muove e opera su un piano pragmatico, vale a dire cercare di mettere sotto controllo la Libia, Msf parte da un punto di vista ideologico che ha il sapore di un’utopia: tutte le popolazioni esposte a rischio di violenza devono essere trasferite in un luogo protetto, cioè l’Italia. Siccome tutti i migranti dell’Africa passano per la Libia, come se fosse un collo di bottiglia, e quindi sono tutti esposti al rischio di subire violenze, allora hanno tutti il diritto di essere spostati con urgenza al riparo in Italia. Quanto sia tenibile e praticabile questa posizione, il lettore lo vede da sé. Il numero di migranti africani in Libia in questo momento è compreso fra seicentomila e un milione. Se anche fossero tutti trasferiti in Italia, altri ne arriverebbero al loro posto e non si vede perché a loro dovremmo dire no. Siamo passati dall’obbligo sacrosanto di soccorso in mare per salvare la gente che tenta di arrivare alla nostra costa all’obbligo di salvataggio dell’Africa intera. Il governo invece lavora a un piano che mira a stabilizzare la Libia, a delegare ai libici la responsabilità del loro paese e in ultima analisi a disincentivare le migrazioni economiche (chi gode del diritto d’asilo perché è perseguitato nel suo paese d’origine invece continuerà a godere della protezione dell’Italia, naturalmente). Domanda, infine: ma se i centri di detenzione in Libia sono lager, come qualcuno dice, allora non dovremmo intervenire con i soldati per salvare i prigionieri?