Lo skyline di Milano (foto LaPresse)

Capitale corretta, nazione in festa

Claudio Cerasa

In Europa si accorgono che l’Italia funziona, in Italia no. Perché la dittatura dell’apocalitticamente corretto potrà essere superata solo iniziando a considerare Milano per quello che è: il simbolo di una nuova direzione, non più di un’eccezione

Le parole molto lusinghiere utilizzate due giorni fa da Emmanuel Macron e da Angela Merkel per elogiare la strategia adottata dal governo italiano rispetto alla politica sui migranti (“L’intesa tra l’Italia e la Libia è stata perfetta”) arrivano in un momento molto particolare per il nostro paese. Da qualche tempo a questa parte, l’immagine dell’Italia all’estero non sembra essere più quella di un paese in costante affanno e sull’orlo di un collasso perenne ma sembra essere qualcosa di molto diverso. Qualcosa di simile a una nazione sempre più sorprendente che dopo essere stata descritta da molti come a un passo dal diventare “come la Grecia” oggi, con un’economia che potrebbe crescere di più ma che cresce più del previsto e con una produzione industriale che potrebbe crescere di più ma cresce più del previsto e con un sistema di esportazioni che potrebbe crescere di più ma che cresce più del previsto, si ritrova a essere nuovamente, insieme con Germania, Francia e Spagna, uno dei quattro pilastri del continente forse più in salute del mondo: l’Europa.

 

Molte importanti testate internazionali, dal Wall Street Journal al Financial Times passando per Bloomberg e Quartz, hanno notato che negli ultimi tempi l’Italia ha cambiato pelle e nel farlo hanno spesso utilizzato un’immagine politica, culturale e industriale che la stessa Italia spesso fatica a utilizzare: l’immagine di Milano. Nel nostro paese, Milano viene costantemente descritta come il simbolo di una città di successo, dove le cose vanno bene senza capire il perché. Ma per ragioni misteriose – forse anche per rispondere al dovere sociale che ciascuno di noi avverte di non discostarsi troppo dalla descrizione apocalitticamente corretta dell’Italia percepita – Milano viene sempre messa a fuoco come se fosse una realtà anomala, una bella storia inserita in un generale contesto di degrado assoluto. Nel racconto quotidiano dei maggiori mezzi di informazione, il simbolo del nostro paese tende così a diventare più Roma, con i suoi disastri, che Milano, con i suoi splendori, e tutto questo ha un suo riflesso importante nella descrizione cupa che viene fatta ogni giorno dell’Italia: l’inefficienza dell’economia romana diventa il simbolo non di una città in difficoltà ma di un paese che non ce la fa; la perdita di attrattività della capitale diventa il simbolo non di un comune male amministrato ma di una città che è lo specchio dell’Italia; e in virtù di un vecchio tic giornalistico, Capitale corrotta, nazione infetta, tutti i mali della Capitale d’Italia, compreso anche l’exploit del Movimento 5 stelle, diventano la spia di quello che sta diventando l’Italia, non solo la sua Capitale.

 

Forse è arrivato il momento di fermarsi un attimo, di riflettere bene su quello che vediamo, di mettere insieme un po’ di numeri, di considerazioni, di riflessioni, e rendersi conto che gli ordini dei fattori vanno invertiti. Forse, in sintesi, è arrivato il momento di rendersi conto che Milano non è il simbolo di un’eccezione ma il simbolo di una direzione, e per questo osservare cosa sta succedendo nella capitale morale ed economica dell’Italia non è un modo per descrivere un mondo che fuori da Milano non c’è, ma è un modo per provare a capire meglio la traiettoria che sta imboccando l’Italia. E per capire cosa sta succedendo a Milano è sufficiente leggere con attenzione le 150 pagine di statistiche presentate poche settimane fa dalla Camera di commercio della città. Sono numeri da locomotiva, e sono numeri da sballo. Nel 2016 il pil è cresciuto dell’1,1 per cento, 0,2 punti in più rispetto alla media nazionale. Le esportazioni sono tornate ai livelli del 2012, hanno registrato un incremento del 3,9 per cento nel 2016 e rappresentano il 9,2 per cento del totale nazionale. La disoccupazione si trova al 7,5 per cento, 0,3 punti in meno della media europea, cinque punti in meno della media nazionale. La disoccupazione giovanile scende ormai da mesi a livello costante, e oggi è al 18,6 per cento, dieci punti in meno della media nazionale. L’export è cresciuto di quattro punti percentuali, quasi quattro volte il dato nazionale, più 1,2 per cento, tre punti in più rispetto alla media della Lombardia, più 0,8, con un interscambio commerciale che ha raggiunto quota 38,5 miliardi di euro, e con una fetta di mercato che per il 54 per cento si affaccia in Europa. I buoni risultati di Milano – che hanno spinto diverse multinazionali, da Allianz a Samsung passando per Apple, Amazon e Whirlpool a realizzare o ad annunciare robusti investimenti immobiliari a Milano – sono il frutto di un lavoro politicamente trasversale che deriva da una serie di scelte che altre città non hanno avuto il coraggio di fare, anche in tempi recenti: puntare sulle grandi opere e sui grandi eventi, scommettendo di più sulla cultura del rischio che sulla cultura del sospetto, facendosi guidare nelle proprie idee più dalla dottrina dell’efficienza e dell’internazionalizzazione che dall’ideologia del moralismo e del sovranismo economico. Per tutte queste ragioni oggi è stata Milano, e non Roma, a presentare la sua candidatura per ospitare l’Agenzia nazionale del farmaco. Per tutte queste ragioni, e per molte altre, Milano sta diventando l’altra grande capitale cinematografica d’Italia (nei primi sette mesi di quest’anno, come ha raccontato qualche giorno fa il Corriere della Sera, sono state 376 le domande per trasformare in set un angolo di Milano: una media di 53 al mese, che potrebbe permettere alla città di incrementare le richieste arrivate negli ultimi anni, 327 nel 2012, 387 nel 2013, 359 nel 2014, 478 nel 2015, 497 nel 2016).

 

L’Italia non è certamente la locomotiva dell’Europa ma ha una grande locomotiva che le permette di correre e che andrebbe descritta e raccontata non come il simbolo di un paese che non esiste ma come l’immagine di un paese che ha ricominciato a correre e che per molte ragioni attraversa una fase positiva. Dal punto di vista economico, e forse anche politico, la Capitale d’Italia non è mai stata così distante da quello che l’Italia può diventare. E allo stesso modo, l’altra capitale d’Italia, non è mai stata così vicina a quello che l’Italia sta diventando. Siamo stati abituati tutti a considerare quello che accade a Roma, al ritmo di Capitale corrotta, nazione infetta, come il simbolo di quello che accade in Italia. Forse oggi varrebbe la pena di correggere leggermente quel motto e provare a vedere per un po’ l’effetto che fa: Capitale corretta, nazione in festa.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.