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Grillo non è nemmeno antisemita, è un paranoide venato di antisemitismo

Guido Vitiello

Nominare gli ebrei è ancora malvisto, può attirare lo stigma delle persone civili e creare inutili clamori. Per questo la nuova stagione del pregiudizio antiebraico sembra una partita di Taboo

La nuova stagione dell’antisemitismo mi ricorda una partita di Taboo, quel gioco di società in cui devi far indovinare una parola senza mai pronunciarla e senza usare parole affini che la svelerebbero troppo facilmente. Nominare gli ebrei è ancora malvisto, può attirare lo stigma delle persone civili e creare inutili clamori. Meglio allora richiamare da ogni angolo della terra stereotipi antisemiti vecchi e nuovi, e addossarli alle frontiere della parola impronunciabile, “ebreo”, fino a delinearne la sagoma vuota; meglio scagliarsi contro la finanza apolide, lo sradicamento, lo spirito cosmopolita, le lobby occulte di affaristi e banchieri, e chi deve intendere intenderà. Per i duri d’ingegno ci si può spingere a menzionare George Soros, Goldman Sachs e soprattutto Bilderberg, con quel suffisso così evocativo (“Chi ha affondato il Titanic? Iceberg, un altro ebreo!”, scherzava Serge Gainsbourg). Ma attenzione, se la parola “ebreo” ricompare in questo contesto egemonizzato dall’estrema destra e dai suoi assilli – euro, sovranità, mondialismo, migranti – non ce la possiamo cavare con un’alzata di spalle e qualche punzecchiatura sarcastica allo spaventapasseri del “politicamente corretto”: tocca tirare l’allarme.

 

L’ex missino Massimo Corsaro ha usato “circonciso”, che in una partita di Taboo sarebbe stata senz’altro tra le parole proibite. Lì avrebbe quanto meno perso un punto; nel gioco di società della politica italiana, invece, ha potuto non solo negare sprezzantemente le scuse, ma accusare Emanuele Fiano di speculazione. Non è il primo caso né il più grave. La stessa strategia di contrattacco l’aveva seguita Beppe Grillo in un passaggio incredibile di una conferenza stampa dell’aprile 2014. L’occasione era un post intitolato “Se questo è un Paese”, dove le sue consuete farneticazioni erano adattate al calco di una poesia di Primo Levi e illustrate da un fotomontaggio in cui sui cancelli di Auschwitz era scritto “P2 macht frei”. Un giornalista gli chiese un commento sulle reazioni della Comunità ebraica, che aveva stigmatizzato quell’uso di Levi. La risposta meriterebbe di essere analizzata parola per parola dagli studiosi del pregiudizio antiebraico.

 

Grillo disse che proprio da Levi aveva imparato che ci sono Shoah ovunque, ogni mese, per esempio la Shoah di “un sistema finanziario e bancario che fa migliaia di morti all’anno”. Incalzato da un’altra giornalista, che lo invitava comunque a scusarsi, Grillo aggiungeva: “Chi c’è dietro Debenedetti, chi c’è dietro gli scagnozzi di Repubblica, chi c’è dietro le banche, chi c’è dietro i poteri finanziari? Quando tocchi quelle cose vengono fuori queste lobby, che sono lobby d’affari. Non sono io che mi nascondo dietro certe tragedie, sono loro che se ne fanno scudo, di certe tragedie. Io non chiedo scusa a nessuno”. Dunque, se ho bene inteso: la Comunità ebraica è una lobby d’affari che specula sulla Shoah quando qualcuno tocca i poteri finanziari e bancari, che causano una Shoah quotidiana. E’ il tipo di risposta che avremmo potuto aspettarci da un militante di Ordine Nuovo.

 

Il capo del primo partito italiano è un antisemita? Sfido chiunque a sostenere il contrario, dopo aver riascoltato quel delirio. Tuttavia, la conclusione che c’è da trarne è perfino più sconfortante. L’antisemitismo dei regimi totalitari era una costruzione ideologica dai tratti profondamente paranoidi. Ma in un’epoca post-ideologica restiamo in balìa dello schema vuoto della paranoia, che può cambiare bersaglio secondo le convenienze, pur di proiettare il male su un’entità qualunque fuori di sé. Non abbiamo a che fare con antisemiti venati di paranoia, ma con paranoici venati di antisemitismo. E più che adattare all’Italia il saggio di Richard J. Hofstadter sullo “stile paranoide” nella politica americana, dovremmo ripescare un altro libro di metà anni Sessanta, “Stili nevrotici” dello psicologo David Shapiro (terzo capitolo: “Lo stile paranoide”). Perché? Ecco, questo potrebbe essere il tema di una prossima puntata. Oggi ho tirato l’allarme.

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