Foto Pixabay

La mezza misura sulla legittima difesa: illegittimo pasticcio

Trasformare il giudice in un perito psicologico è una scelta errata che tradisce un’impotenza legislativa

Il tema della legittima difesa, o meglio del reato di eccesso di legittima difesa, diventato di attualità per una serie di vicende legate ad alcune rapine che hanno avuto un ampio risalto mediatico, è stato affrontato in Parlamento con una legge approvata ieri alla Camera con i voti del Partito democratico e di Alleanza popolare. Una legge destinata a una difficile verifica in Senato e che da molti punti di vista non sembra convincente.

Protesta della Lega Nord contro la legge sulla Legittima Difesa


Il punto critico sta nella definizione imprecisa dei limiti nei quali questo diritto può essere effettivamente e legittimamente esercitato. Il principio più difficile da interpretare, come sappiamo, è quello della proporzionalità della difesa: un principio che se interpretato in modo estensivo in realtà nega il diritto alla legittima difesa. Il furto non è proporzionale all’omicidio o al tentato omicidio, quindi se un cittadino spara a un ladro o a un rapinatore reagisce in modo “sproporzionato” e quindi si macchia di un reato? Si trattava di decidere se modificare, abolire o precisare questo principio, che rende obbligatoria una azione penale nei confronti delle vittime di aggressioni o rapine che reagiscono. Su questo punto nodale, però, non si è trovata un’intesa, né all’interno della maggioranza né con i rappresentanti delle opposizioni. Si è presa una strada diversa, quella della definizione delle condizioni temporali o psicologiche che giustificano la reazione all’aggressione. Se si reagisce con le armi durante la notte, o in condizioni di scarsa visibilità, i limiti della legittima difesa si ampliano. Anche se c’è una condizione psicologica di paura lo sparo “accidentale” viene legittimato. E’ facile replicare che non si capisce perché una rapina diurna sia meno traumatica di una notturna, che non ha senso trasformare il giudice in perito psicologico che deve determinare se l’aggredito era in condizioni particolari, quando sembra ovvio che una reazione di paura sia inevitabile, nei casi in cui un estraneo si introduce illecitamente nell’abitazione o nel luogo di lavoro della vittima.

 

In sostanza, il legislatore vuole ampliare la legittima difesa, ridurre l’area di applicazione del reato di eccesso, ma non sa o non vuole farlo in modo esplicito. C’è chi non vuole cedere allo spirito dell’autodifesa, chi contemporaneamente è convinto dell’esigenza di dare un segnale a chi si sente insicuro. Non si tolgono di mezzo, però, le procedure giudiziarie nei confronti delle vittime, che, anche se finiscono quasi sempre con un’assoluzione, vengono percepite come un accanimento giudiziario rivolto contro chi ha subito un reato (la Camera ha deciso, approvando un emendamento proposto dal Pd, che lo stato dovrà farsi carico delle spese processuali degli imputati a cui alla fine viene riconosciuta la legittima difesa).

 

Come tutte le mezze misure, anche questa non convince appieno nessuno, il che è quasi ovvio per quel che riguarda le posizioni politiche contrapposte. Ma, trattandosi di una materia che suscita interesse reale, il provvedimento può ottenere l’effetto controproducente di diffondere l’impressione generale che si legiferi in modo confuso e inefficace, più per dare l’impressione di voler intervenire che con la capacità di farlo effettivamente. Naturalmente non sfugge che una scelta più decisa troverebbe opposizioni e susciterebbe contrasti, ma se proprio si vuole fare una legge, e non solo dare un boccone alla folla inferocita, sarebbe meglio affrontarle esplicitamente e in modo argomentato piuttosto che cercare di aggirare i problemi con mezzucci che mostrano la corda dell’indecisione di fondo.

Di più su questi argomenti: