Pietro Nenni

Rep. spiega la scissione con le storie del passato senza capire che il passato giustifica la scissione Pd

Luciano Capone

Ezio Mauro e Nenni. Nella storica lotta tra riformismo e massimalismo le scissioni fanno chiarezza

Roma. Tutta la storia della sinistra italiana è attraversata – sin dalle origini – da unioni, lacerazioni, ricomposizioni e divisioni. La scissione del Pd non è la prima, non sarà l’ultima e di certo non è la più rilevante, né per il peso politico degli argomenti in campo né per il coinvolgimento emotivo di elettori e militanti. Probabilmente non era un divorzio inevitabile, forse è un errore o all’opposto un passaggio di chiarificazione politica, ma di sicuro non è una tragedia. Su Repubblica invece un importante osservatore dell’area progressista come Ezio Mauro ha evocato “i demoni del Novecento” che “sono tornati a far visita alla sinistra italiana con l’eterna tentazione dei deboli: la scissione”. Il Pd rischia di naufragare e con esso l’idea di superare le divergenze ideologiche che avevano impedito nel secolo scorso alle varie anime della sinistra di governare insieme: “Ben più del calcolo dell’indebolimento parlamentare, che rischia di consegnare il Paese ad una destra ricompattata o ai grillini increduli, ciò che conta è la prigionia del Novecento che incatena il campo progressista”. E a supporto di questa tesi, Mauro rievoca i pensieri di Pietro Nenni, storico leader del Psi, nel giorno della rottura socialista: “Oggi l’orizzonte è più scuro di ieri, perché la scissione getta in crisi tutto ciò in cui abbiamo creduto e per cui abbiamo lottato”. Naturalmente si tratta di epoche diverse, distanti anni luce, ma proprio il riferimento di Mauro alla rottura in casa socialista tra i filosovietici di Nenni e i socialdemocratici guidati da Giuseppe Saragat è un motivo per essere favorevoli alle scissioni, quando a scontrarsi sono linee politiche divergenti e visioni del mondo inconciliabili.

 

Pensare che la lunga impossibilità della sinistra di competere e accedere al governo del paese fosse dovuta ai “demoni” dell’egoismo, delle incomprensioni e delle rivalità delle classi dirigenti è un torto alla storia e all’elaborazione politica e culturale della sinistra italiana. All’origine della scissione di Palazzo Barberini, nel 1947, tra quello che poi sarà il Partito socialdemocratico di Saragat e il Psi di Nenni c’erano l’idea stessa di democrazia parlamentare e gli sviluppi della situazione internazionale: da una parte Nenni era un convinto sostenitore dell’alleanza con il Partito comunista e della vicinanza all’Unione sovietica di Stalin, dall’altra Saragat puntava all’autonomia dai comunisti e al saldo ancoraggio al campo occidentale (come poi dimostreranno l’ingresso nei governi centristi e l’appoggio all’ingresso nel Patto atlantico). In quegli anni il mondo si stava spaccando e il Partito socialista veniva ideologicamente attraversato dalla cortina di ferro, campo sovietico da un lato e democratico dall’altro. Era lo “spettro” del comunismo a dividere la sinistra, in maniera così radicale che, anche quando venti anni dopo – e un decennio dopo il distacco del Psi da Mosca – si tenta la riunificazione socialista, il risultato è fallimentare.

 

In questo senso ha ragione Giovanni Sabbatucci quando sulla Stampa scrive che le scissioni possono essere utili se “rispecchiano una divisione profonda sui principi fondanti di un partito e se chiariscono equivoci ideologici”, cioè quando sono caratterizzate da “un alto tasso di impegno ideologico, accompagnato a un forte riferimento internazionale”. A prima vista non sembrerebbe questo il caso: i bisticci tra D’Alema e Renzi non ricordano proprio lo scontro tra Nenni e Saragat, la mediazione di Emiliano non è proprio quella di Pertini, nella direzione in streaming al Nazareno non c’erano il pathos e la solennità dell’assemblea di Palazzo Barberini e i temi del contendere non sembrano quelli della Guerra fredda (“i promotori della scissione hanno saputo nascondere le motivazioni alte e nobili – scrive Sabbatucci – consegnandoci lo spettacolo inedito di un grande partito che si spacca sulla data di un congresso”). Non bisogna però perdere di vista il quadro internazionale e la divisione profonda che sta attraversando la sinistra in tutti i paesi: in Francia è Hamon contro Macron, in Spagna Podemos contro Psoe, nel Regno Unito Corbyn contro i blairiani, in America Sanders contro Clinton. Ovunque le sinistre sono divise, quasi sempre sono alternative. Nella storica lotta tra riformismo e massimalismo le scissioni non possono che fare chiarezza. 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali