Matteo Renzi (foto LaPresse)

Chi (non) vuol votare nel 2017?

David Allegranti

Indagine nel Pd dopo la “dottrina Mattarella” sul voto anticipato

Roma. “Chiamare gli elettori al voto anticipato è una scelta molto seria. Occorre che vi siano regole elettorali chiare e adeguate perché gli elettori possano esprimere, con efficacia, la loro volontà”. Il discorso di fine anno del presidente della Repubblica Sergio Mattarella è una cartina di tornasole utile per capire, decifrare e descrivere le reali intenzioni e gli umori delle correnti del Pd attorno al lodo “voto nel 2017”. Come noto, regole chiare per andare alle urne al momento non ci sono. Una volta accordate quelle – armonizzando i sistemi elettorali di Camera e Senato – niente vieta di restituire la parola ai cittadini. I renziani non temono il voto anticipato, il loro timore casomai è che qualcuno voglia “giocare a far melina in Parlamento”, come dicono diversi di loro. Per Matteo Renzi l’orizzonte temporale è quello del 2017. Circola pure una data: l’11 giugno. Il problema è come far coincidere i propri desiderata con il discorso di Mattarella e i suoi corollari.

 

  

Sergio Mattarella ha tracciato una linea di pensiero: il voto anticipato non è un tabù, ma non si può andare allo sbaraglio. Ed è qui la faccenda si complica. Perché anche all’interno del “voto subito” c’è un’area di cautela, che coinvolge parte dei Giovani turchi e l’area di Maurizio Martina. “Un certo azzardo è consentito – dice un senatore ‘turco’ – senza però l’ostilità di Mattarella, contro il quale non possiamo andare a sbattere”. Avverte la deputata del Pd Elisa Simoni, sulla scia di quanto detto dal presidente della Repubblica sui problemi del lavoro: “Non sono per arrivare al 2018 a prescindere, si voterà quando il presidente della Repubblica scioglierà le Camere perché raggiunto l’obiettivo di una legge elettorale organica per Camera e Senato.

 

Nel frattempo dobbiamo, oltre che occuparci della legge elettorale, fare quello per cui siamo stati eletti: specialmente su temi come il lavoro e economia. Io dalla prossima settimana sarò impegnata in commissione Lavoro su proposta di legge su riforma dei voucher e in commissione trasporti come relatrice per la rete 5g in Italia. A ognuno il suo mestiere”. I renziani sembrano accogliere il cauto suggerimento – non far innervosire il presidente della Repubblica – ma temono che qualcuno dentro il partito voglia narcotizzare la discussione, solo per non andare a votare subito. “Io condivido il pensiero di Mattarella, e cioè che il Parlamento deve essere in grado di fare la legge elettorale”, dice al Foglio David Ermini, renziano, responsabile Giustizia del Pd. “E’ un richiamo forte al Parlamento a fare il proprio lavoro”, ma non un invito a perdere tempo, osserva Ermini. Secondo il deputato, molto vicino all’ex presidente del Consiglio, nel Pd non mancano i frenatori. Adesso è arrivato il momento, dice Ermini, di farli venire fuori.

 

Come? “E’ necessario che prima ci sia un accordo tra i partiti, che trasformino quindi la loro volontà di una proposta di legge condivisa. In questo modo si vedrà chi davvero vuole la legge e chi frena”. Nessun dubbio anche da parte di Dario Nardella, sindaco di Firenze: “Io credo – dice al Foglio – si debba votare presto. Entro giugno. Altrimenti gli italiani non capirebbero. Aumenterebbe la tensione nel paese e l’idea di una classe politica concentrata solo sull’autoconservazione. Sulla legge elettorale i partiti che giocano al rinvio e al Vietnam pur di restare in Parlamento, rischiano tantissimo. Berlusconi per primo. Il Pd deve ripartire da un modello basato su collegi uninominali (Mattarellum). Il 2017 deve essere l’anno del voto. Pd e Forza Italia costruiscano l’asse per un patto elettorale che porti a una legge elettorale che coniughi rappresentatività politica e governabilità. L’Italia ha bisogno di un governo forte che continui le riforme. Un governo del genere non può che avere la legittimazione popolare. E una legge elettorale tutta proporzionale annacquerebbe la volontà popolare nelle pastoie del parlamentarismo da Prima repubblica”.

 

Una parte del Pd, però, sembra molto preoccupata dalla tabella di marcia indicata ieri dal presidente del Pd, Matteo Orfini, in un’intervista al Corriere della Sera e che prevede il voto anche prima di giugno. “La legislatura è politicamente terminata il 4 dicembre – dice Orfini – e solo il tentativo, difficile ma possibile, di armonizzare il sistema ipermaggioritario della Camera con quello proporzionale del Senato può prolungarla”. Orfini dice di non essere preoccupato da alcune scadenze importanti, come l’anniversario dei Trattati di Roma del 25 marzo o il G7 di maggio, “ma non drammatizzerei. Per chi come noi crede nella democrazia, dare la parola agli elettori non è mai un problema”. Sono parole che fanno infuriare la minoranza del Pd, che ieri invitava a leggere una nota di Emanuele Macaluso. “Ma, domando, i cittadini che hanno eletto questo Parlamento l’hanno fatto solo per le riforme costituzionali? E dal 2013 a oggi si è fatta solo la legge di riforma costituzionale? Sciocchezze”.

 

Quanto all’anniversario per i Trattati del 25 marzo o al G7, considerati quasi alla stregua di eventi minori, “per Orfini, e forse anche per Renzi, questi appuntamenti che sono previsti in Italia si dovrebbero svolgere in presenza di un governo dimissionato. E la democrazia sarebbe mortificata se si votasse qualche mese dopo? E’ evidente che questa linea, che io definirei avventurista, dovrebbe comportare il fatto che il Pd presenti una mozione di sfiducia al governo per farlo dimettere dato che Gentiloni ha più volte ricordato che resterà in carica sino a quando avrà la fiducia delle Camere. E lo stesso Pd, inoltre, dovrebbe contrapporsi alla volontà del capo dello Stato”. Certo, dopo la defenestrazione di Enrico Letta tutto è possibile. Anche una sfiducia parlamentare a Paolo Gentiloni. 

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.