Matteo Renzi annuncia le sue dimissioni la sera della sconfitta al referendum (foto LaPresse)

Com'è che il popolo fa cazzate irrazionali

Giuliano Ferrara

Un esperimento: decisioni da prendere in cinque secondi. Brexit, Trump, Rexit, aveva già spiegato tutto una fatale coppia di scienziati.

Michael Lewis è un saggista brillante di 55 anni che vive a Berkeley, non lontano da Michele Masneri che dovrebbe precipitarsi a parlargli, e ha appena pubblicato un libro su Amos Tversky (morto nel 1996) e Daniel Kahneman (gran vecchio, premio Nobel). Secondo Gary Silverman del Financial Times, che ha intervistato Lewis, il libro è più o meno, più più che meno, la risposta esatta alla domanda: come è stato possibile che si sia arrivati alla scelta irrazionale di Donald Trump? Naturalmente, almeno per traslazione di significato ovvero metafora, è anche la risposta alla domanda: come è stato possibile votare per la Brexit o per la Renxit?

Secondo Lewis questa coppia straordinaria è come i cow boy di "Brokeback Mountain", solo che ad amarsi e a fondersi sono le loro menti, non i loro corpi. E il risultato della fusione è una teoria scientifica in ambito psicologico riguardo i comportamenti individuali o di massa di fronte a scelte per le quali si dispone di un tempo minimo di percezione. I due chiamano “anchoring” la reazione in cinque secondi di una mente chiamata a valutare tra due moltiplicazioni identiche ma inverse nella formulazione. Ecco il dilemma: 8x7x6x5x4x3x2x1 dà un prodotto e anche 1x2x3x4x5x6x7x8 dà un prodotto moltiplicato. In cinque secondi la risposta generale è che il prodotto della prima è superiore al prodotto della seconda moltiplicazione, perché le cifre sono in partenza più grandi lungo la intera serie. Il Mahama Gandhi è morto a 114 anni o a 35? Generalmente alla domanda “cinque secondi” si risponde con l’età maggiore menzionata (Gandhi è stato assassinato a 79 anni). Anchoring, dunque. E Trump è un mago dei grandi numeri pazzi, le illusioni ottiche della mente e non degli occhi: “milioni” di voti illegali sono andati alla Clinton, ha sparato di recente, e quel numero sticks, si fissa, si memorizza e fa scuola. Come il famoso “tremendous amount of money”, una quantità che ha propagandato ossessivamente come suo risultato personale e politico presso elettori “dimenticati” e presunti “straccioni della globalizzazione” che odiano i professional, i sussiegosi professorini del pol. corr., ma accettano e idoleggiano i ricchi (tutti in realtà sanno che i soldi di Trump sono eredità del padre gestita furbescamente, a spese dei contribuenti americani, e proiettata non su costruzione e produzione ma su un’attività luccicante di branding, “Trump towers” dappertutto). Illusione ottica della mente, appunto.

Molto modestamente, senza essere come Tversky e Kahneman un Nobel, un grande combattente sionista come loro, uno scienziato come quella coppia fatale e storica di decrittatori dei comportamenti delle mente umana, mi è capitato di recente di osservare che chi di storytelling ferisce si trova avvantaggiato, ma poi ne può perire. Ed ecco la teoria “availability heuristics”. Conta più un’informazione memorabile, come la sfilata delle vittime dei messicani cattivi ai comizi di Trump, di una sequanza di fatti asciutti e di numeri. La gente non ragiona con le statistiche. Non vuole risposte esatte, vuole una storia. Per la Brexit ha avuto la storia della nazione inglese contro le fisime del mercato unico e dell’euro. Per la Renxit, dopo tanto storytelling modernista e scattante, ha avuto la storia del nuovo Mussolini, della deriva autoritaria, piuttosto che le cifre sull’occupazione o sul pil o sul calo delle tasse o sulla semplificazione decisionista (una Camera in meno, tot parlamentari in meno, tot litigi tra stato e regioni presso la Corte in meno).

Poi c’è lo stereotipo detto “representativness heuristics” nella teoria dei due grandi psicologi ripresa e raccontata da Lewis. Lo stereotipo è un giudizio fondato su un giudizio precostituito che fa da modello. Kahneman dice che un atleta alto e magro sarà infallibilmente giudicato un giocatore di basket piuttosto che di football o di soccer, a tutta prima, nei cinque secondi che ti lascia il flusso dell’informazione rapida (aggiungete alla teoria i social, tv cablo, tutto il delirio che conoscete dell’informazione politica istantanea). I corpi, dunque. Lewis ha provato a immaginare la storia di Trump nel corpo di Hillary, e ne ha desunto, come chiunque farebbe a termini di senso comune, che con quel corpo Trump non avrebbe vinto. Stereotipo. Il presidente è percepito irrazionalmente come un tipo tosto e alto, preferibilmente bianco e disinvolto nel linguaggio gestuale, piuttosto che come una maestra donna.

Ora è di moda dire. Avete perso, statevene zitti, non siate petulanti, non è brechtianamente il comitato centrale a eleggere il popolo ma il popolo a eleggere magari di nuovo il Senato. Il popolo ha sempre ragione, no? Siamo una democrazia, no? Vero, politicamente. Ma consola il fatto che siamo anche una psicologia, una forma mentis, una fallibile macchina per decisioni fallibili, oltre che una democrazia di massa fondata su istinti individuali spesso irrazionali, e che questo dato sia illustrato da due formidabili studiosi ebrei, amanti l’uno dell’intelligenza dell’altro e capaci di raddoppiare una sola intelligenza originaria. Quindi quando ho cinguettato: “Cari elettori dai 18 ai 34 anni: avevo la tentazione di una vecchiaia gay. Ora non più. Menatevela da soli. Stronzi #reazioneserena”, forse non avevo proprio tutti i torti. Torto sì, ma non tutti i torti. Comunque, fra dieci anni e altrettanti governi del proporzionale, quando si presentassero problemi di disagio sociale che richiedano sveltezza e sicurezza di decisione, non venite a rompermi i coglioni e a propormi nuove grandi rivoluzioni liberali maggioritarie e avventure riformiste. Grazie.

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.