Renzi a Palermo, scontri tra studenti e forze dell'ordine (foto LaPresse)

Guai a chi governa

Alfonso Berardinelli

Noi italiani non leggiamo. Ma se si tratta di odiare chi comanda, il nostro istinto è cieco e sicuro

Avevo intenzione di non votare, perché nonostante qualche sprazzo di buona volontà non ero mai riuscito a concentrarmi seriamente sulle ragioni mille volte ripetute del Sì e del No. Ma alla fine improvvisamente ho ceduto, anzi ho capito. Una curiosa convinzione (che purtroppo mi è congeniale) ha preso il sopravvento. Mi sono detto: voterò No al No. Ma secondo la scheda, No al No significa Sì, altra scelta non è prevista. Votare No perché non avevo le idee chiare, votare con tutti coloro che si sono tanto sdegnosamente inalberati contro il Sì, questo proprio No. Era una assurda compagnia. Ho voluto dire No ai Cinque stelle (pur avendo, prima, votato la povera Raggi) perché vengono  ancora presi per mano dall’orribile Grillo, l’uomo dell’eterno “vaffanculo” nella cui “pancia” (come dice lui) ribolle qualcosa di sordido (questo lo dico io). No a Salvini e alla sua bocca che si storce sempre di disprezzo quando parla di qualunque cosa, in particolare di migranti, cioè di vittime, e di Europa, di cui fare a meno è ormai (geopoliticamente) impossibile: perfino il vecchio Bossi, non si fida di lui, ne denuncia l’incapacità politica che dorme sotto le sue parole. No a D’Alema, che con quell’aria da professionista della politica non ha mai capito niente di società, parla e fa autorevoli smorfiette come se avesse ancora davanti una platea di devoti “comunisti” (si fa per dire) pronti a inginocchiarsi per un’alzata di ciglio del capo. No a Berlusconi, a cui Renzi piaceva parecchio, ma che lo ha tradito facendogli lo sgambetto come lui faceva con gli altri: Renzi gli stava scippando la riforma costituzionale che lui condivideva. E questa è la vera ragione forte di tutti i leader del No: Renzi (e non si poteva permetterlo!) minacciava di fare lui, ultimo arrivato, la riforma di cui si è parlato senza esito per decenni.

Renzi ha pagato il prezzo della sua arroganza, della sua diversità, della sua distanza dal vecchio ceto politico. Era un caso, questo del referendum costituzionale, in cui sarebbe stato responsabile aiutarlo anche mettendo tra parentesi i difetti della sua riforma. Che invece sono stati usati e riusati, irresponsabilmente, come ottimo pretesto per farlo fuori. Andava aiutato per aiutare la stabilità politica, per evitare crisi di governo e nuovi asfissianti scontri elettorali, perché mandare in giro all’estero sempre nuovi rappresentanti dell’Italia non può che diminuire la nostra già scarsa credibilità, e infine perché non si vedono all’orizzonte convincenti alternative. Non si vedono. Eppure ognuno dei partiti che hanno brandito rabbiosamente il loro No crede di essere o di avere in mano una buona alternativa. Ma Berlusconi è in crisi e non vuole certo Salvini, tutti e due non vogliono i Cinque stelle, che a loro volta non vogliono né Salvini né Meloni né Berlusconi né Sinistra italiana.

L’accozzaglia del No è stata senza dubbio un’accozzaglia impresentabile e politicamente sterile. Ora festeggia il frutto del proprio sadismo. Una festa un po’ sinistra. Vorrei vederli tutti in fila a brindare insieme, se ne avessero il coraggio: Bersani con Meloni, Fassina con Salvini, Grillo con l’amato Berlusconi. Il giovanotto fiorentino o giù di lì, il “ganzo”, il “guappo” è riuscito a farsi odiare. La parola “odio” non è forte, l’ho sentita ripetere diverse volte in quest’ultimo mese. L’odio per Renzi è stata la prima evidenza in tutto il corso della campagna referendaria. Odio per chi governa, odio per il giovane intruso che è arrivato a conquistarsi, solo contro tutti, un 40 per cento degli elettori. In Italia per stare al governo c’è sempre bisogno di “larghe intese” e di composite coalizioni che promettano a ognuno dei partecipanti di ostacolare l’altro, di paralizzare o annacquare l’azione di governo con la pratica dei “veti incrociati”. E’ vietato che qualcuno si metta in testa di farcela da solo.  Renzi non ha capito che il referendum era per lui la cosa più temibile perché gli italiani hanno in testa l’appartenenza di schieramento, di fazione e di partito, non sono individui e non riescono a votare per qualcosa e non contro qualcuno.