Il presidente del Consiglio Matteo Renzi (LaPresse)

Un bel voto contro il populismo costituzionale

Claudio Cerasa

Il primato della politica, il dramma della società giudiziaria, la chiusura di un cerchio e la fine possibile di un conflitto storico. Perché ci vuole il volto di Violante per mettere a fuoco il vero e inconfessabile tema della campagna referendaria: la conversione della sinistra

Più di Matteo Renzi. Più di Maria Elena Boschi. Più di Beppe Grillo. Più di Matteo Salvini. Più di Silvio Berlusconi. Più di qualunque altro. Persino più di Bello FiGo (vedi a pagina due). Se ci fosse da individuare un uomo simbolo di questa magnifica e interminabile e spassosa rissa referendaria, la scelta di un osservatore attento non dovrebbe ricadere sul volto di un qualche ministro del governo o di un qualche rampante rottamatore. Dovrebbe focalizzarsi sul profilo di un politico particolare che negli ultimi mesi ha rappresentato meglio di chiunque altro il vero tema di questa campagna elettorale, che va ben oltre il significato della riforma costituzionale: la Conversione.

L’Oscar come miglior interprete di questo film andato in scena durante la campagna elettorale – la Conversione – è un signore di 75 anni che ha cominciato la sua carriera come giudice a Torino (1977), l’ha proseguita come politico nel Pci (1979) e l’ha suggellata con una presidenza della commissione Antimafia (1992) e una presidenza della Camera (1996). Il nome lo avrete capito e coincide con quello di Luciano Violante. Violante è l’uomo simbolo di questi mesi perché il vero tema della campagna referendaria – più del No tattico di Berlusconi, il No strategico di Salvini, il No cialtronesco di Grillo – è stato il motore che ha spinto un pezzo importante della sinistra (compreso Violante) a rinnegare felicemente un pezzo di storia importante della sinistra (di cui Violante ha fatto parte). Ci si può girare attorno quanto si vuole ma la vera novità della campagna referendaria non è stata la conquista da parte di Renzi di qualche elettore e di qualche leader di destra (lunedì vedremo quanti) ma è stata la rottamazione definitiva di alcuni concetti che per decenni hanno plasmato il pensiero unico del progressista collettivo: la difesa a oltranza della Costituzione più bella del mondo (fino al 2006, per la sinistra, toccare la Costituzione significava essere un discendente diretto di Benito Mussolini) e il consenso tacito all’applicazione di un meccanismo perverso in base al quale i magistrati venivano legittimati (dalla sinistra) a fare politica attiva (e invasiva) con la scusa della necessaria difesa della Costituzione più bella del mondo.

Maria Elena Boschi e Luciano Violante (LaPresse)Il giustizialismo della sinistra e la difesa della Costituzione hanno più punti in comune di quello che si potrebbe credere e la storia di Luciano Violante (un ex magistrato che nel 1979 venne scelto dal Pci come responsabile Giustizia del partito e che per anni ha rappresentato in modo plastico l’incestuosa giustapposizione tra potere giudiziario e potere politico) è significativa anche per questo. E la sua conversione non è solo una questione personale ma è qualcosa di più: è il simbolo della conversione di un pezzo importante della sinistra che, attraverso la campagna referendaria, si è resa conto di alcuni errori del passato e ha deciso di farci i conti. E’ questo il vero grande film della campagna elettorale. E’ la sinistra che scopre di aver perso molti anni difendendo una Costituzione che andava cambiata e trasformando in fascista chiunque osasse pensare di cambiare la Costituzione. E’ la sinistra che scopre di aver legittimato un meccanismo perverso in base al quale un magistrato che attacca la politica difendendo la Costituzione è un magistrato che agisce in nome delle forze del Bene e che combatte contro le forze del Male che vogliono toccare la Costituzione più bella del mondo. E’ la sinistra che scopre di aver alimentato per anni un mostro (quello del populismo costituzionale) che potrebbe inghiottire il primo vero riformatore della sinistra italiana (Renzi). Ed è una sinistra che ha trasformato se stessa a tal punto da essere arrivata a sostenere delle tesi (il primato della politica, la necessità di avere un Parlamento più agile, l’opportunità di occuparsi non solo della rappresentatività ma anche della governabilità) che fino a qualche anno fa avrebbe considerato semplicemente sovversive, folli, fasciste, da pazzi.

La conversione la si legge perfettamente in queste parole che Violante ha utilizzato a lungo e bene durante la sua campagna elettorale. Sintesi del pensiero di Violante: la riforma costituzionale serve perché la Costituzione è bella ma non è perfetta e soprattutto perché la nostra Costituzione non ha gli antidoti necessari per proteggere la politica da un altro mostro dei nostri tempi che si chiama, udite udite, la società giudiziaria. Per società giudiziaria Luciano Violante intende un universo particolare formato da un pezzo di società civile, un pezzo di mondo politico, un pezzo di mondo istituzionale, che tenta di risolvere i conflitti politici sul piano giudiziario, utilizzando il codice penale come se fosse un codice morale, e che negli ultimi vent’anni è riuscito ad avere successo grazie a un sistema istituzionale molto debole che ha permesso ai giudici di diventare i veri arbitri del conflitto politico. Avete capito bene: la sinistra che ha sempre utilizzato la Costituzione e i magistrati per combattere i propri avversari oggi si è resa conto che per governare è necessario rinnovare la Costituzione e impedire ai magistrati di sfruttare le debolezze strutturali del nostro impianto istituzionale per praticare una forma mascherata di politica. Ci sono molti argomenti che hanno animato e caratterizzato questa campagna elettorale ma il paradigma Violante è forse quello che più dovrebbe far riflettere. Dovrebbe far riflettere la sinistra su cosa si rischia quando una forza politica accetta di rimanere intrappolata nelle ideologie del passato solo per distruggere un avversario. Ma dovrebbe far riflettere anche la destra su quello che è un altro tema chiave di questa campagna elettorale: l’opportunità di chiudere un conflitto storico aiutando i propri avversari ad approvare una riforma che in fondo contiene alcune idee per le quali si è lottato per una vita. Buon voto a tutti.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.