Il sindaco di Pomigliano, Lello Russo

Lello Russo, l'anomalo campano

Marianna Rizzini
“Quando qualcuno, con meraviglia, mi chiede perché voterò Sì al referendum, io sinceramente rimango allibito”, dice Lello (Raffaele) Russo, settantasettenne sindaco di Pomigliano d’Arco al quinto mandato e al terzo giorno di divertita tribolazione per il suo essere “controcorrente” ma “senza ambizione politica, trovandosi a fine carriera”.

    Roma. “Quando qualcuno, con meraviglia, mi chiede perché voterò Sì al referendum, io sinceramente rimango allibito”, dice Lello (Raffaele) Russo, settantasettenne sindaco di Pomigliano d’Arco al quinto mandato e al terzo giorno di divertita tribolazione per il suo essere “controcorrente” ma “senza ambizione politica, trovandosi a fine carriera”. Voterà Sì, infatti, Russo (ex socialista ed ex senatore), in un partito, Forza Italia, che si è espresso per il No, nonostante l’iniziale penchant per la riforma. E Russo voterà Sì in una città, Pomigliano D’Arco, che è anche luogo simbolico di rottura, per essere stata teatro della lotta intra-Fiat tra Sergio Marchionne e Maurizio Landini.

     

    Mettici pure che Pomigliano è il luogo dov’è cresciuto Luigi Di Maio, vicepresidente della Camera, candidato premier in pectore del M5s, “signor No” referendario in campagna permanente effettiva e avversario di Russo sul piano locale: si capisce che Russo gongoli, in questi giorni, quando gli capita di spiegare i motivi del suo discostarsi: “Cosa c’è scritto sulla scheda? C’è forse scritto ‘No Renzi’, ‘Sì Renzi’? Eh no. Non c’è scritto questo”. Russo dice: “Se il Parlamento mi pone un quesito per migliorare o modificare la Costituzione, io – come sindaco, ma prima ancora come cittadino – valuto il quesito in sé e a questo mi rapporto. E se Forza Italia, dopo aver votato Sì, vista la rottura del Patto del Nazareno, vuole votare No per motivazioni politiche, beh io continuo a dire Sì, considerati i quesiti”. L’anomalia-Russo, comunque, è diventata visibile (e pubblica) durante una recente assemblea della Forza Italia locale: lì, dice Russo, è stato presentato anche un vero e proprio Manifesto per il Sì, prodromo dell’iniziativa del 21 novembre prossimo venturo, quando Russo, dal centrodestra, e il governatore campano Vincenzo De Luca, dal centrosinistra, con temporanea riedizione di concordia nazarenica, benediranno la riforma (“ho invitato anche il presidente del Consiglio”, dice fiducioso il sindaco). Eppure Pomigliano, via Di Maio, è ora anche terra del No, sponsorizzato dal vicepresidente della Camera con insistenza su quella che, a suo dire, sarebbe sicura conseguenza dell’eventuale vittoria del Sì: la fuga in massa dei cervelli. “Qui al sud diciamo che a voler lavare la testa all’asino si perde tempo, acqua e sapone”, commenta Russo, che era già sindaco nel 1980, tempi di vera Prima Repubblica, e che oggi è solito “scambiare a distanza feroci carinerie verbali” con il concittadino e vicepresidente della Camera a Cinque stelle (per esempio: “A volte confonde paesi del Sud America e litiga con il congiuntivo”).

     

    Tuttavia il sindaco, sul piano locale, più che con Di Maio in persona dibatte con il “parroco del No” Peppino Gambardella, sostenitore del grillismo in nome di quelle che chiama “le buone intenzioni della politica”. Solo che il concetto di “buone intenzioni” è cangiante, dipende dall’occhio di chi guarda. E per Russo erano buonissime le intenzioni di Marchionne e pessime quelle di Landini (con il parroco Gambardella a supporto), ai tempi del dibattito sul futuro dello stabilimento Fiat: “Ma come? La Fiat decide di investire 800 milioni di euro per rinnovare Pomigliano, per non andare verso uno scenario quello sì drammatico di chiusura tout court, e Landini si mette di traverso? Roba da Sant’Uffizio, e meno male che ha vinto la ragione”, dice Russo rimembrando i giorni di uno scontro che gli pareva “provinciale”, ma mai quanto quello di questi giorni: “Bisogna essere veramente ipocriti per dire, come dicono Matteo Salvini, Fratelli D’Italia, la maggior parte di Forza Italia e la minoranza del Pd, che il ‘combinato disposto’ del quesito referendario e dell’Italicum rende la democrazia meno democrazia. E poi che cosa vuol dire ‘governo di un uomo solo’? E gli Stati Uniti, allora, la più grande democrazia del mondo? Non sono forse governati da un uomo solo, colui che ha il controllo della famosa valigetta e che può schiacciare il famoso pulsante?”.

    • Marianna Rizzini
    • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.