Il premier Matteo Renzi (foto LaPresse)

La riforma costituzionale fa bene anche alle nostre tasche? La verifica del fact checking

Col nuovo Senato, in caso di vittoria del Sì, Renzi annuncia una riduzione delle spese superiore ai 500 milioni. Siamo andati a verificare i numeri presentati dal governo.

Al 4 dicembre mancano ormai meno di due mesi e il dibattito sugli effetti della riforma costituzionale rimane in primo piano. Molto si è discusso ad esempio dei risparmi attesi nel caso al referendum prevalesse il Sì. Il governo, così come il Comitato nazionale del Sì, ha annunciato 500 milioni di tagli, mentre il comitato del No - citando un parere della Ragioneria dello stato per la verità mai reso pubblico - ribatte che i numeri sono molto più esigui: solo 57,7 milioni di euro.

 

Ma cosa ci dicono i fatti? Il taglio dei costi non è certo il punto centrale del testo di riforma costituzionale ma è possibile valutare, per ogni voce di spesa, il risparmio stimato confrontandolo con le dichiarazioni di Matteo Renzi a Quinta Colonna nella puntata di lunedì 26 settembre.

 

Prima di iniziare, una precisazione: tutti i risparmi sono stati calcolati al lordo dell’imposizione fiscale. Bisogna quindi tenere conto anche di un possibile minor gettito per l’erario, che in alcuni casi raggiunge percentuali non da poco.

 

 

Indennità senatori

 

Cominciamo con il taglio alle indennità dei senatori: il presidente del Consiglio promette un risparmio di 42 milioni di euro. Il dato, secondo il bilancio del Senato 2015, è corretto: per la precisione si parla di 42.205.000. Tutto ciò è previsto dall’articolo 9 della riforma costituzionale, il quale garantisce una indennità ai soli Deputati della Camera. Per il momento Renzi è promosso.

 

Rimborsi ai senatori

 

Sui rimborsi ai senatori iniziano i problemi. Il premier annuncia un taglio di 37 milioni, considerando una loro eliminazione totale. Tuttavia ciò è irrealistico: vista la riduzione del numero dei senatori (da 315 a 95)  e dell’attività del nuovo Senato, i rimborsi si assottiglieranno ma rimarranno. Calcolando dunque il risparmio in proporzione al taglio dei senatori, si ottiene una cifra intorno ai 24 milioni di euro, distanti dai 37 promessi.

 

Trasferimenti ai gruppi parlamentari

 

Altro capitolo: il premier afferma che dai trasferimenti ai gruppi parlamentari del Senato verranno risparmiati 20 milioni di euro, con un taglio pari al 100 per cento. Renzi è sicuro: “C’è scritto in legge, basta leggere”. Tuttavia, la ministra Boschi l’ 8 giugno 2016 alla Camera parlava di “riduzione” e non di abolizione totale. Tralasciando la confusione generata dalle dichiarazioni governative, il dato di fatto è che i trasferimenti ai gruppi parlamentari rimarranno in essere, anche se in forma minore: questa voce di spesa, essendo normata dal regolamento del Senato (all’articolo 16) e non dalla Costituzione, non viene toccata dalla riforma. Perciò, tenendo conto della riduzione del numero dei senatori, i risparmi potrebbero aggirarsi attorno ai 14 milioni euro. Numeri ancora distanti da quelli del governo.

 

Spese per il personale

 

Sulle spese per il personale del Senato il discorso si fa più complicato. Il presidente parla infatti di un risparmio di 20 milioni, su una spesa totale di 120 milioni di euro. Tuttavia l’esborso si divide tra i salari dei dipendenti a tempo indeterminato (per 100 milioni), che non potranno essere tagliati se non nel lungo periodo, e gli stipendi di personale precario (circa 16 milioni, Renzi li riporta sotto la voce “segreterie istituzionali”). Solo quest’ultima potrà essere erosa nel breve periodo, con un risparmio di circa 12 milioni di euro, calcolato mantenendo i rapporti utilizzati per quantificare la riduzione dei rimborsi ai senatori e dei trasferimenti ai gruppi. Se prendiamo invece in considerazione un periodo più lungo, le spese si assottiglieranno in modo più deciso: verrà infatti istituito un ruolo unico dei dipendenti del Senato e della Camera e verrà favorita la messa in comune di servizi e attività (articolo 40 comma 3 della riforma), aumentando l’efficienza.

 

Cnel

 

Il Consiglio nazionale dell’energia e del lavoro verrà abolito dal giorno dopo il referendum; è uno dei pochi cambiamenti che entrerebbero da subito a regime, e non soltanto dopo il termine della legislatura. Il bilancio disponibile sul sito dell’ente certifica poco meno di 9 milioni di spese. Ed è esattamente quanto il segretario del Pd comunica in modo corretto. Curiosità: Maria Elena Boschi aveva parlato alla Camera di un risparmio di 20 milioni, e non di 9. Perché questa discrasia? Probabilmente per via dei dati non aggiornati al ministero per le Riforme. Il costo del Cnel è stato infatti ridotto di circa 10 milioni di euro dalla legge di Stabilità del 2015, arrivando perciò agli 8,7 milioni odierni. Certo, tale scarsa accuratezza (fortunatamente oggi corretta) non può che mettere in ombra gran parte dei dati forniti dal governo in materia.

 

Province

 

Sul tema province regna l’incertezza. Matteo Renzi promette 350 milioni di taglio ai costi della politica, in realtà già contabilizzati a bilancio grazie alla legge Delrio (n. 56/2014), che ha eliminato gli organi elettivi di questi enti locali. Il premier tuttavia afferma che questi risparmi verrebbero persi in caso di vittoria del No al referendum: la legge Delrio in più punti rimanda infatti ad una futura riforma del Titolo V e della seconda parte della Costituzione. Il Governo pare quindi alludere al rischio di ricorsi volti a ripristinare il precedente sistema organizzativo in caso di fallimento della riforma. Vari costituzionalisti interpellati direttamente - anche favorevoli al Sì - non credono tuttavia possibile un simile scenario. Da parte sua Roberto Perotti, ex consulente per la spending review,  ha affermato in un’intervista: “I risparmi dall’abolizione delle Province sono esclusi: sono già stati attuati e conteggiati, non si può utilizzarli due volte.” Ma, al netto di tutto ciò, a quanto ammonterebbero le minori spese? Anche su questo i dati non sono certi. Renzi parla di 350 milioni, Boschi di 320, Delrio nel 2014 dichiarava 160 milioni, lavoce.info 113 milioni, la Corte dei Conti dai 100 ai 150 milioni. La parola definitiva la mette lo stesso ministero per le Riforme, che getta la spugna e scrive alla commissione Affari costituzionali della Camera che i risparmi “non sono quantificabili” e che potranno essere calcolati “solo a completa attuazione della […] legge” Delrio.

 

Rimborsi gruppi Consigli regionali

 

A Quinta Colonna il segretario del Pd stima in 36 milioni i risparmi derivanti dall’abolizione dei rimborsi ai gruppi nei Consigli regionali. Il taglio sarebbe immediatamente esecutivo, secondo l’articolo 40 comma 2 della riforma costituzionale. Su questo hanno ben lavorato gli amici di OpenPolis, che quantificano i rimborsi ai gruppi regionali in oltre 30 milioni all’anno, sulla base di dati del 2014 (2012 per la Regione Sardegna). Per la precisione, il risparmio si aggirerebbe attorno ai 31-32 milioni, non lontani dai 36 di Renzi, se si tiene conto di un certo margine di errore dovuto all’ampia quantità di dati.

 

 

Stipendio Consiglieri regionali

 

Ultimo capitolo, quello degli emolumenti percepiti dai Consiglieri regionali. Questi dovrebbero essere adeguati   “nel limite dell’importo di quelli attribuiti ai sindaci dei Comuni capoluogo di Regione”, come recita l’ultimo comma dell’articolo 35 della riforma costituzionale. Il presidente del Consiglio promette 36 milioni di risparmi da questa voce di spesa. Ma, come ci ricorda il servizio studi della Camera dei Deputati, questo taglio si applicherebbe alle sole regioni a statuto ordinario, in attesa che quelle a statuto speciale e le province autonome aggiornino i rispettivi statuti. Inoltre - dato ancora più rilevante - l’applicazione pratica non sarà immediata ma rimandata a una successiva legge ordinaria, approvata con metodo bicamerale (come regolato dal nuovo articolo 70).

 

Tuttavia la realtà è che il risparmio sarà effettivo solo se il termine “emolumenti” verrà interpretato come comprensivo di indennità di carica, indennità di funzione e pure rimborsi spese. I dati, anche in questo caso, sono spesso disorganici e confusi. Ci affidiamo perciò a un’infografica del Secolo XIX pubblicata a gennaio, una delle poche fonti più o meno attendibili e complete reperibili in rete.

 

 

Dopo qualche calcolo - considerando il termine “emolumenti” omnicomprensivo - si ottiene che la minore spesa potrebbe essere quantificata in circa 20 milioni; tenendo conto di un certo margine di errore, l’ordine di grandezza appare comunque distante dai numeri forniti da Matteo Renzi. Invece, nel caso in cui fossero tagliate le sole indenittà e lasciati invariati i rimborsi spese, i risparmi sarebbe davvero esigui, se non in alcuni casi addirittura negativi con ulteriori possibili esborsi a carico dei contribuenti.

 

Siamo dunque al bilancio finale. Escludendo i capitoli relativi alle province e agli stipendi dei consiglieri regionali, troppo incerti per una comparazione, i risparmi per il governo ammontano a 164 milioni contro i 133 calcolati dal Foglio. Una differenza di 31 milioni, il 19 per cento.

 

Questi, dunque, i fatti. Il giudizio, come sempre, ai lettori.