Il premier Matteo Renzi (LaPresse)

E Ponte sia!

Alberto Brambilla
Renzi rianima l’opera sullo Stretto mentre l’Italia “No Cemento” rifiuta tutto per paura (Olimpiadi incluse) - di Alberto Brambilla

Roma. Il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha resuscitato il progetto del Ponte per unire Calabria e Sicilia martedì a Milano davanti al gotha dell’edilizia italiana, riunito per celebrare i 110 anni della Salini Impregilo, società che già nel marzo 2006 firmò il contratto per realizzare l’opera. “Siamo pronti, vi sfido”, ha detto Renzi annunciando 100 mila possibili posti di lavoro per costruire il Ponte che è oramai una telenovela nazional-popolare nel paese che ha appena detto “no” alle Olimpiadi pur di non misurarsi con il rischio di organizzare alcunché. Renzi azzarda dove i predecessori hanno desistito.

 

Del Ponte si sono occupati 36 governi. L’hanno promesso Mussolini, Craxi, Prodi, Berlusconi, ora Renzi. Gli studi di fattibilità abbondano e il costo per non realizzare nulla è schizzato a centinaia di milioni di euro. L’unico politico romano che unì Sicilia e Calabria fu il console Lucio Cecilio Metello nel 251 a. C.: con un sistema di zattere galleggianti costruì un ponte provvisorio per elefanti, carri e soldati (idea cemento-free da suggerire a Grillo) e così sconfisse i cartaginesi di Asdrubale nella battaglia di Palermo. Bisogna tornare alla Prima guerra punica per ricordare un tempo in cui qualcuno disse fiat pons!, e il ponte fu fatto. Il pregiudizio ricorrente nella saga dell’incompiuta più incompiuta d’Italia è che un collegamento viario tra la Calabria, l’Europa, e la Sicilia costa, non rende, è inutile perché ci sono opere più importanti da fare tosto. E’ “questione di priorità” quando si spendono soldi pubblici, dice chi sostiene tale tesi come l’economista Francesco Giavazzi, il quale, quando Prodi promise di buttare tutto a carte quarantotto nella campagna elettorale 2006, provocatoriamente ritenne preferibile al Ponte aumentare le licenze dei taxi a Roma per evitare interminabili attese. Giavazzi, nemico degli sperperi a carico dei contribuenti, non rientra nella categoria dei benaltristi di cui la storia della non-costruzione del ponte è ricca. Il refrain ipocrita del “ci vuole ben altro” è giunto però da sinistra e da destra. “Prima pensare all’acqua, alle strade, alle ferrovie”, diceva per esempio Gaetano Micciché da ministro del Mezzogiorno di Forza Italia. Oggi il Ponte non c’è, eppure l’emergenza idrica a Messina – per dire – persiste: per Renato Accorinti, sindaco-pacifista messinese, ancora ieri la priorità era arrestare “il deserto infrastrutturale” che scende da Salerno e ingloba la Sicilia dotata della “peggiore ferrovia d’Europa”, mica assecondare l’“azzardo populista” renziano.

 


 

I dati riportati nel grafico comprendono gli investimenti in nuova costruzione, manutenzione straordinaria e manutenzione ordinaria (fonte CRESME su dati EUROCONSTRUCT, giugno 2016, per cortesia di Antonella Stemperini, Senior Researcher 
CRESME Ricerche Spa).


 

C’è invece chi come l’ex ministro delle Finanze Francesco Forte da tempo sostiene che il progetto non vesserebbe il contribuente se i privati lo finanziassero, farebbe diminuire il numero di traghetti che inquinano lo Stretto, rianimerebbe uno statico settore edilizio per quanto possibile. I big nazionali Salini Impregilo, Astaldi, Caltagirone portano capitali all’estero dove gli investimenti pubblici e non in nuove opere galoppano da anni. Ci sono ragioni per essere a favore o contro. Tuttavia avanza un istinto tetro che emerge dal rifiuto del sindaco Virginia Raggi a ospitare le Olimpiadi a Roma: non si costruisce per paura di costi incontrollabili, delle “colate di cemento”, di disturbare il pesce x o l’insetto y, delle incursioni mafiose, della corruzione. Se non basta un Andrea Camilleri d’antan (“sarebbe come non aprire i negozi per paura di pagare il pizzo”), si prenda il plenipotenziario dell’Autorità anticorruzione, Raffaele Cantone, ieri da Palermo: “E’ pericolosissimo non fare delle grandi opere per paura del rischio corruzione, rischia di mettere il paese nelle condizioni di non far nulla. Lo dissi in tempi non sospetti sulle Olimpiadi”. Appunto.  

 

  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.