Stefano Parisi (foto LaPresse)

Parisi e le condizioni per farcela

Redazione
Il nuovo leader punta a ri-definire una funzione nazionale e popolare per l’area moderata. Come schivare i veti incrociati e raccontare un diverso centrodestra.

Stefano Parisi si è assunto, su mandato di Silvio Berlusconi, il gravoso compito di resuscitare un centrodestra competitivo. Per tentare di realizzare questa specie di miracolo politico ha imboccato la strada giusta, anche se assai ardua: quella di ri-definire una funzione nazionale e popolare per l’area moderata, da tempo smarrita anche per la concorrenza del riformismo renziano. Stabilire con chiarezza che cosa si vuole essere è questione indispensabile – nonché preventiva – per sottrarsi al gioco perverso dei veti incrociati. Un gioco già in atto, che fa prevalere la logica dell’esclusione e porta all’inevitabile dispersione  delle diverse formazioni, personalità e sigle del centrodestra. Non è semplice per Parisi realizzare questa operazione, che non può limitarsi alla ricerca di un minimo comun denominatore, oggi talmente minimo da apparire inesistente. Allo spirito di pura opposizione (che unifica i Salvini e i Brunetta) Parisi ha concesso il sostegno alla campagna per il no al referendum, pur accompagnandolo a una rivendicazione riformista, per non finire inchiodato al conservatorismo assoluto degli ex girotondini.

 

Ora però deve trovare il modo per dialogare senza cedimenti con le pulsioni estremistiche e identitarie del lepenismo all’italiana. Anche questo confronto deve essere condotto senza spirito di esclusione, partendo dal riconoscimento della profondità e dell’ampiezza di una tendenza che si va affermando in tutto il mondo come reazione alle difficoltà della globalizzazione. Non è stato Matteo Salvini a inventare Donald Trump, la Brexit, il Front national e nemmeno le chiusure dei governi a guida socialista in Austria e altrove. Rispondere a questa tendenza con una pura e semplice riaffermazione dei valori “liberali”, dalla libertà di commercio a quella di movimento, non è più sufficiente. Il centrodestra può esercitare una funzione, e trovare una collocazione, soltanto se insiste su una scelta favorevole alle priorità dell’innovazione, dell’investimento produttivo, del rifiuto dei ricatti corporativi in un quadro di competizione internazionale.

 

Non è solo un programma, è un racconto del nuovo ruolo delle diverse presenze sociali e culturali, inscritto in una visione critica ma non distruttiva degli assetti istituzionali italiani ed europei. Si potranno aggregare in questo modo le forze disperse del centrodestra? Non è facile, ma non è escluso. Se si capiscono le ragioni che spigono gli altri si può trovare spazio per la discussione e il confronto; se si parte dalle esclusioni reciproche, si resta fermi al punto di partenza e il “funerale” del centrodestra, come sosteneva ieri Vittorio Feltri, si avvicina. La potenzialità dell’operazione Parisi sta in questo tentativo.

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