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Espulsioni, Isis, Libia. Ma l'Italia è preparata? Domande

Claudio Cerasa
L’Italia degli ultimi giorni ci offre un panorama che serve a ricordarci che il nostro paese è al centro non solo di una speculazione bancaria. No. C’è qualcosa di più, che riguarda la geopolitica, una bomba culturale in cui si mescolano flussi migratori, politica estera, politica di difesa, intelligence, terrorismo, confini. Politica. Come capire se siamo pronti alla fine del rischio zero.

C’è un pensiero inconfessabile che si aggira minaccioso nelle teste di ciascuno di noi e che si ingigantisce giorno dopo giorno, alimentato dalle notizie che contribuiscono a definire sempre con maggiore chiarezza la situazione complicata che anche il nostro paese in queste ore sta vivendo. In due parole: siamo pronti all’inesistenza del rischio zero? Non siamo qui per dare risposte. Siamo qui per mettere in fila un po’ di dati e un po’ di notizie importanti. L’Italia degli ultimi giorni ci offre un panorama che serve a ricordarci che il nostro paese è al centro non solo di una speculazione bancaria. No. C’è qualcosa di più, di più importante, che non riguarda l’economia ma riguarda la geopolitica, una bomba culturale in cui si mescolano flussi migratori, politica estera, politica di difesa, intelligence, terrorismo, confini. Politica.

 

Una rapida carrellata degli ultimi giorni. Ieri è stato espulso un ventiseienne pachistano affiliato all’Isis, la cui traiettoria è legata a quella di un uomo albanese di 25 anni rimpatriato dalle autorità italiane lo scorso 3 marzo scorso, sospettato di essere pronto a fare un attentato nel nostro paese. Sempre ieri, sono stati indagati un giovane di 23 anni residente a Varese, che voleva unirsi alle milizie salafite di al Nusra, e tre imam, compreso quello di Genova, sospettati di contiguità con il terrorismo. Sempre ieri è stato espulso dal territorio italiano Khaireddine Romdhane Ben Chedli, uno dei cinque presunti appartenenti alla cellula terroristica con base ad Andria già fermato alcuni mesi fa. Pochi giorni fa, a Venezia, sono stati fermati alcuni musulmani con un machete e delle pietre in una borsa. Lo scorso 12 luglio è stato rimpatriato un marocchino di venticinque anni, Kachmat Najib, indagato per aver scaraventato a terra danneggiandolo, un crocifisso di legno all’interno della chiesa di San Geremia, nel centro storico di Venezia. Venerdì scorso è stato espulso un altro cittadino marocchino, Briji Salah, di sessantanove anni, già arrestato il 1° gennaio 2015 per il reato di danneggiamento aggravato per aver fatto irruzione nella chiesa di Cles, inveendo contro i fedeli e urlando espressioni di avversione alla religione cattolica. In tutto, dal primo gennaio 2015 al 29 luglio 2016 sono state arrestate 549 persone legate all’estremismo religioso, sono state indagate 884 persone legate ad ambienti contigui al radicalismo islamico, sono stati individuati nelle carceri 345 detenuti radicalizzati, sono state eseguite 102 espulsioni di “soggetti evidenziatisi per il grado di radicalizzazione o per il sostegno ideologico alla jihad” (8 di questi provvedimenti hanno riguardato imam); sono stati monitorati video dello Stato islamico che promettono di colpire prima Israele e poi Roma; sono state registrate le minacce contenute nell’ultimo numero di Dabiq rivolte alla culla della cristianità; sono state drammaticamente contate le molte vittime italiane uccise dallo Stato islamico a pochi km dai nostri confini (cinque persone uccise a Nizza, quattro italiani uccisi al Bardo di Tunisi, una uccisa al Bataclan di Parigi, nove uccise a Dacca in Bangladesh).

 

Poi naturalmente, oltre a tutto questo, c’è tutto il resto. Ci sono i nostri confini. C’è la tensione con Erdogan, che sta forzando sempre di più il perimetro della Nato, che neppure troppo velatamente ha accusato Federica Mogherini di aver fatto il tifo per i golpisti in Turchia. Poi, ovviamente, c’è la Libia: con il governo italiano (ieri il ministro Pinotti lo ha confermato in Parlamento) pronto a mettere a disposizione le basi militari agli Stati Uniti impegnati nei raid anti Stato islamico, in soccorso del governo Serraj. Il tutto anche a costo di sfidare paesi come la Russia e l’Egitto, convinti che l’unico governo legittimato a governare la Libia sia quello guidato non da Serraj ma dal generale Haftar. Sono tutti fatti, ce ne sarebbero molti altri, che messi insieme su una carta geopolitica proiettano l’Italia al centro di un grande conflitto mondiale. Dove oriente e occidente si incrociano proprio sulle nostre coste. Dove il rischio zero, riguardo agli attentati, ovviamente non esiste, anche se ci illudiamo di essere tutti al sicuro. E dove forse è necessario farsi domande prima ancora di cercare risposte. Una su tutte: di fronte a un evento traumatico che potrebbe colpire le coscienze del paese, siamo pronti a muoverci in un contesto meno stabile, meno rigido, meno fisso, in continua trasformazione, molto diverso rispetto a quello degli Anni di piombo, quando le risposte al terrore furono efficaci anche grazie alla presenza di due grandi partiti che si muovevano in un quadro internazionale (da una parte c’era Russia, dall’altra gli Stati Uniti) tutto sommato razionale? Oggi non è più solo un problema di capire se siamo in guerra oppure no. Oggi il problema corrisponde a una domanda semplice: siamo sicuri che l’Italia è pronta?

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.