Il galoppo a ostacoli di Renzi da qui a ottobre. Come non ruzzolare giù

Mario Sechi
Agenda globale, Brexit, Spagna, Libia. Ma prima le amministrative trappola e i magistrati. Vademecum per capire.

Roma. Il Gran Premio di Renzi è tra galoppo e corsa a ostacoli. Da qui al referendum costituzionale di ottobre il premier dovrà saltare, abbattere e aggirare molte barriere. Quali sono? Alcuni ostacoli sono visibili, altri no. Alcuni sono influenzati dalle decisioni di Renzi, altri no. Andiamo con ordine.

 

 

Il quadrante

 

Un leader di levatura europea deve sempre dividere in tre il suo quadrante strategico: a sinistra, i fatti dell’agenda globale che impattano sulla sua attività; a destra, gli appuntamenti di politica interna. In un terzo spazio, infine, bisogna piazzare le mosse previste e prevedibili del suo avversario diretto. Vediamo cosa c’è nel quadrante di Renzi.

 

 

Agenda globale

 

Da qui a ottobre Renzi avrà davanti a sé una serie di appuntamenti che per lui possono essere croce o delizia. Renzi è come un aereo da caccia su una portaerei, deve decollare, stare in volo e atterrare azzeccando tutti i tempi. Se conclude la missione in anticipo, non trova la nave d’appoggio; se la chiude in ritardo, precipita senza carburante prima di toccare il ponte con il carrello. L’agenda globale presenta due date ravvicinate.

 

Brexit. La prima data, il 23 giugno è quella del referendum sulla permanenza o uscita del Regno Unito dall’Unione europea. Renzi ha stretto in questi mesi un’alleanza con David Cameron. Va male? La Brexit per Renzi potrebbe essere anche un’opportunità: l’uscita degli inglesi rafforzerebbe subito la posizione dell’Italia e del suo premier tra i paesi del blocco continentale, consegnando a Renzi una carta da giocare: quello di unico leader riformista in campo, insieme a Angela Merkel.

 

La corrida di Madrid. Pochi giorni dopo, il 26 giugno, si vota in Spagna. Conta qualcosa il voto di Madrid per Renzi? In teoria ha un peso relativo, ma il contesto cambia radicalmente se gli inglesi escono dall’Unione: ci sarebbe un effetto domino e si aprirebbe un varco enorme per la richiesta di indipendenza della Catalogna.

 

Presidenziali americane. Nel frattempo, Donald Trump e Hillary Clinton sono nel pieno della campagna presidenziale americana. Si vota a novembre, ma gli effetti si dispiegano ora: The Donald ha già incoraggiato gli inglesi a abbandonare l’Unione, Hillary è europeista ma il suo realismo è ben noto a tutti. Renzi qualche settimana fa è stato dipinto da Hillary come un suo alleato e anti-Trump, non gli ha fatto un favore, ma queste sono cose che si mettono a posto, il problema è la campagna con la clava anti-Ue e anti-Nato di Trump.

 

Libia. E’ là, a un tiro di kalashnikov e Renzi lo sa. Finora il passaggio del governo Onu guidato da Serraj è stato soft. I problemi sono rimasti, la Cirenaica resta una polveriera, ma a Tripoli regna una surreale calma armata. Da oggi a settembre tutto è possibile, il governo di Tripoli ieri ha costituito un comando unificato contro Isis, la bella stagione sarà il banco di prova per vedere se le ondate migratorie dalla Libia saranno fermate o meno.

 

 

Politica interna

 

Renzi è entrato in un periodo di campagna elettorale permanente, il referendum va presentato all’opinione pubblica, ma il suo esercito dell’informazione se esiste non si vede. I giornali vanno in ordine sparso, Mediaset fa giustamente la tv commerciale, la Rai non si capisce cosa faccia. Il resto, è un quadro che si compone e scompone sotto i suoi occhi.  

 

Amministrative. Prima del Brexit e del voto in Spagna, c’è la tornata elettorale nelle città italiane. E’ come camminare sui carboni ardenti con una cassa di nitroglicerina in mano. La campagna elettorale si è incarognita. A Milano il buon Beppe Sala è tallonato da Stefano Parisi e quella che appariva una vittoria scontata di Mister Expo è a rischio. Napoli è quel che è, da sempre, Renzi sta tastando il terreno, De Magistris gode delle divisioni a sinistra, Lettieri a destra spera di fare il colpaccio. A Roma lo scenario è da capogiro: Raggi, Marchini, Meloni e Giachetti sono tutti da ballottaggio teorico, ma due passano e due cascano. Giachetti con il Pd ha già fatto mezzo miracolo rimettendosi in pista, se va al ballottaggio Renzi fa Bobo santo subito. Torino? E’ al sicuro. La strategia del premier qui è stabilita da tempo: non è un test nazionale, non è in gioco il governo, possiamo perdere o vincere, non cambia nulla. Non è proprio così, ma non si rischiano le dimissioni tra un mese.

 

Manette&Politica. Quella con la magistratura è la partita che da qui a ottobre ha il più alto potenziale di sorprese. Si è aperta la caccia all’amministratore democratico e, per carità, il complotto non c’è, però le coincidenze sono un fatto. L’arresto del sindaco di Lodi, Uggetti, ha segnato un cambio di passo e la sortita di Fanfani al Csm – anche se Renzi ne ha attutito l’impatto – è un segnale: non si porge l’altra guancia. Renzi ha provato a fumare il calumet della pace nei mesi scorsi, ma l’elezione di Piercamillo Davigo al vertice dell’Anm ha accelerato la collisione tra governo e magistratura. Personaggi in commedia: il Guardasigilli Orlando è prudente all’eccesso, Legnini al Csm si muove bene ma la realtà e che a Palazzo de’ Marescialli il Pd renziano è privo di ufficiali di collegamento tra i togati. E la vera partita in corso è quella per la guida del tribunale di Milano: il favorito resta Francesco Greco, ma le dichiarazioni di Davigo hanno mandato in testa coda la sua nomina che era quasi cosa fatta. “Più Davigo parla, più Greco si allontana da Milano” è la confessione che abbiamo raccolto dalle stanze del Csm. Quadretto di famiglia per renziani che non vedono né coincidenze né complotti: Davigo all’Anm, Ielo a Roma, Greco a Milano. What else? Serve la moral suasion di Mattarella subito, inutile girarci intorno, questa è una palla che si gioca con il Quirinale. Strategia? Citofonare e impegnarsi a fondo con la diplomazia presidenziale. Se il Colle non risponde, la vita del governo s’accorcia.

 

 

L’avversario

 

Bisogna prima decidere chi è. Sceglierne uno, basta e avanza. Poi con gli altri bisogna trovare un accordo. Domanda che cominciano a porsi a Palazzo Chigi: ma il nostro nemico è Grillo o Berlusconi? Il primo punta alla distruzione del Pd, il secondo a conservare un suo ruolo nella politica italiana. La mossa di schierarsi con Marchini a Roma è stata al fulmicotone. A Milano il candidato c’è. Berlusconi non è più lost in space. Fidarsi dei grillini è impossibile, trattare con il Cav. è possibile e non ci deve per forza essere un patto del Nazareno. Il problema è: su cosa? Berlusconi nella campagna referendaria è dalla parte sbagliata (sta con Md e Travaglio, abbiamo detto tutto), ma nessuno nel Pd ha fatto una mossa politica degna di questo nome per schiodarlo dalla spericolata compagnia di giro in cui si ritrova. Denis Verdini è perfetto e prezioso quando bisogna contare (e contarsi) nel Palazzo, ma quando si va in piazza il peso specifico muta e nel referendum l’opinione e i voti di Berlusconi potrebbero essere decisivi. Il Cavaliere non può intestarsi una vittoria con Md, ma può farti perdere. Urge strategia di aggancio tra la navicella di Renzi e la sonda di Berlusconi. Rendez-vous, anche senza Nazareno, non c’è molto tempo. Senza accordi, in politica non c’è birra. E addio Oktober Fest.