Guido Bertolaso (foto LaPresse)

Le gazebarie del centrodestra saranno un disastro

Lanfranco Pace
Bocciato chi ha coniato il neologismo; bocciati Storace e Salvini che hanno il demerito di far disperdere i voti; bocciato D'Alema che ormai sa di yogurt scaduto; promosso il governatore dell'Abruzzo che ha detto no al referendum e mandato a pascere altrove i No Triv (voto 3). Il Pagellone alla settimana politica di Lanfranco Pace

IL CENTRO DESTRA E IL COLPO DEL CONIGLIO

 

Comunque vada oggi e domani alle gazebarie (a chi ha coniato il neologismo voto 1), per il centrodestra sarà un disastro. Deputati forzisti e mondo azzurro si mobiliteranno a fondo per far superare a Guido Bertolaso la quota dei diecimila “mi piace” cartacei da lui considerata indispensabile per mantenere la candidatura. Se non ci riesce sarà uno smacco soprattutto per il suo principale sponsor, Silvio Berlusconi, che per la prima volta in venti anni sarebbe dapprima contraddetto dagli alleati e poi smentito dai suoi elettori: una fine immeritata e ingloriosa. Se ci riesce invece, Berlusconi salva un po' del suo prestigio personale ma non non è detto che si salvi lui, l'ex capo della protezione civile: diecimila voti confermativi non sono nulla, un rivolo nel fiume. C'è troppa ressa nella corsa al Campidoglio, il rischio di dispersione del voto è altissimo, la strada è disseminata di trabocchetti piantati dall'ostinazione di Storace (voto 4), dall'incoscienza di Matteo Salvini (voto 4) e dallo stato evidente di confusione mentale in cui la gravidanza ha gettato la signora Giorgia Meloni (10 e lode e auguri al pupo o alla pupa).

 

Avesse prevalso la ragione e non i veti incrociati, il centro destra avrebbe potuto vincere facile appoggiando Marchini (voto 7) o scegliendo un suo candidato forte, Bertolaso stesso sarebbe andato bene se la scelta fosse stata davvero condivisa e si fosse fatta moral suasion su Marchini o viceversa, magari dando vita a un ticket. Invece tutti sgambettano per correre e vincere. Anche la Meloni si vede come estremo ricorso possibile: è una pia illusione che dopo il precedente di Alemanno i romani possano fare nuove concessioni a qualcuno che provenga dal mondo ex Movimento sociale.

 

Dal caos non è da escludere che venga fuori comunque il primo sindaco donna della storia capitolina, la candidata 5 Stelle Virginia Raggi, avvocatessa lodata dall'Economist per essere smartening up, in ghingheri e piattini, di cui pure noi notammo in tempi non sospetti la telegenia e l'appeal. L'inconveniente di una vittoria dei 5 Stelle è che dovremo sciropparci la garrula lignea Roberta Lombardi, (voto 5) indimenticabile capo gruppo della prima ora a Montecitorio.  

 

 

RIGURGITI ACIDI DI PRIMARIE

 

Freschi freschi a chiudere la settimana politica sono arrivati Pier Luigi Bersani (voto 6) e Massimo D'Alema (voto 5). Discettano di primarie che si sono svolte giorni fa e sanno inevitabilmente di yogurt scaduto.

 

Novità: Bersani si lamenta. Con garbo però, la sua malinconia è sincera. Dice che a Roma e a Napoli sono accaduti fatti incredibili, militanti ed elettori non seguono più, i vertici del partito dichiarando irricevibile il ricorso di Antonio Bassolino (voto 4 all'eterno ritorno dell'identico per giunta con il voto dei quartieri bene) prima ancora di conoscere i risultati dell'inchiesta interna si sono comportati in modo irrituale, grave. C'è un disorientamento che lui invita a non sottovalutare.

 

D'Alema invece la prende de haut, dall'altitudine dell'aereo (si presume di linea) in cui d'acchito lo piazza l'intervistatore del Corriere della Sera, Aldo Cazzullo (voto 8). Dice di essere arrivato all'alba da Teheran, non ci aspettavamo meno da un uomo che sappiamo interessato solo a grandi e gravi questioni internazionali. In Iran Vodafone non prende, dice, quindi non sa nulla di quanto avvenuto negli ultimi giorni. Seh, direbbe strabuzzando gli occhi Carlo Verdone in finto tonto. Infatti butta lì che il partito versa in una situazione gravissima, la sua classe dirigente reagisce insultando e calunniando con metodi staliniani. Staliniani, ma davvero ha detto staliniani? In giro c'è disagio, disaffezione, gli iscritti al Pd sono poco più di trecento mila (così tanti sono davvero troppi) laddove il buon vecchio Pds da solo ne contava oltre seicento mila.

 

The “bicameral” Max vede anche quando sta fuori e da vedere non c'è nulla, sa anche quando non c'è nulla da sapere. Lui prevede, inquadra il pensiero, organizza l'azione, è leader di sistema e di progetto. Nega di far parte della comunità Bray, l'altro Massimo che è suo carissimo amico e a suo dire il candidato di maggior prestigio al Campidoglio e non sa quindi cosa farebbe se si dovesse candidare: noi sì, a questo piccolo Argan sconosciuto al di fuori delle mura aureliane e che qui non ha frequentato per tutto l'anno, diamo uno 0 preventivo. Giachetti? D'Alema lo sfotte, lo ha visto su internet mentre traina un risciò su cui è seduto Renzi e questa non può essere l'immagine del sindaco di Roma, nemmeno per scherzo. Avrebbe fatto indubbiamente meglio ad andare in televisione con un grembiule bianco e a cucinare un risotto, voto 3 al solo ricordo di tanto sfogo narcisistico, inutile anzi dannoso.

 

Si sente trascurato D'Alema: non l'hanno consultato mai neppure una volta, né lui né Prodi, che pure sono fondatori del partito, ma a voler mettere come si dice a Roma l'azzica a mio modesto avviso Prodi un po' è stato consultato. Il partito della Nazione c'è, esiste già, Renzi crede di compensare a destra i voti che perde a sinistra, ma sbaglia, infatti Verdini che è uomo intelligente e molto meno estremista di alcuni suoi partner del Pd, è estremamente preoccupato. Comunque in questa situazione verrà qualcuno, non si sa ancora di chi avrà gli occhi, a trasformare così tanto malessere in nuovo partito.

 

Nuovo partito? Capisco che nessun uomo normalmente costituito possa andare in ginocchio con il capo cosparso di cenere da Lorenzo Guerini e dal suo zainetto, né da una Serracchiani o da un Rosati (voto 4 a questo gruppo dirigente facente – male – funzione), ma minchia, tenente D'Alema, è mai possibile che lei e i suoi sempre qui andiate a parare?

 

 

ARIPRIMARIE

 

Le dovrebbe questa volta organizzare La Sinistra. Nel disegno dalemiano, Marino, Fassina e per l'appunto Bray si potrebbero affrontare per vedere chi è il più adatto a rappresentare l'area del dissenso, dello sconcerto di fronte alla politica renziana.  Marino è ancora del pd ma è come se non lo fosse più il rancore lo sospinge verso cieli sconosciuti. Bray la tessera del Pd non l'ha mai avuta. Due alieni. Dovendo scegliere in questo ristretto mazzo noi optiamo per Stefano Fassina (voto7), almeno è umano, onesto intellettualmente e pure più capace.   

 

 

NO TRIV

 

Non se ne può più di bastian contrari: dopo i no Tav ecco i no alle trivelle (voto 3) nel mare Adriatico. Referendum il 17 aprile, per decidere degli spiccioli: la durata delle concessioni per lo sfruttamento dei giacimenti marini. C'è tempo dunque ma si lavori fin d'ora a dare una lezione di civiltà agli scriteriati che dopo averci proibito il nucleare vogliono toglierci anche petrolio e gas, convinti davvero che il mondo possa andare avanti a pannelli e a pale. E si dia uno scappellotto ai presidenti di regione che rinfocolano, Emiliano in Puglia e Pittella in Basilicata (voto 5). Onore invece al coraggioso Luciano D'Alfonso (voto 9), governatore del mio Abruzzo che ha detto no al referendum e mandato pascere altrove queste fastidiose zanzare.

 

 

BELL'ITALIA

 

I fratelli Andy e Larry Wachowski, autori della serie cinematografica Matrix con Keanu Reeves, sono diventati, l'uno a quattro anni di distanza dall'altro, Lana e Lilly, transgender: d'ora in poi dunque, per Hollywood e per i fan, saranno le sorelle Wachowski.

 

La grandezza italiana è che nessuno mai svegliandosi al mattino si troverà di colpo al cospetto delle sorelle Taviani o delle sorelle Vanzina: a tutti e quattro voto 10 (e non solo per questo).     

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  • Lanfranco Pace
  • Giornalista da tempo e per caso, crede che gli animali abbiano un'anima. Per proteggere i suoi, potrebbe anche chiedere un'ordinanza restrittiva contro Camillo Langone.