Giuseppe Sala (foto LaPresse)

Sala, Marchini e gli altri. Ecco a voi l'Italia nazarena

Claudio Cerasa
Ricapitoliamo, vediamo se abbiamo capito. A Milano gli elettori di centrosinistra non solo hanno dato una botta da paura alla brigata Barbacetto (copyright Maurizio Crippa). Non solo hanno marginalizzato quel pezzo di borghesia che dal 1992 limona duro con il partito delle procure.

Ricapitoliamo, vediamo se abbiamo capito. A Milano gli elettori di centrosinistra non solo hanno dato una botta da paura alla brigata Barbacetto (copyright Maurizio Crippa). Non solo hanno marginalizzato quel pezzo di borghesia che dal 1992 limona duro con il partito delle procure. Non solo hanno fatto questo, ma, se non ci siamo persi qualche passaggio, gli stessi elettori milanesi che anni fa riempivano di buuu le sezioni del Pd rimproverando a Letizia Moratti di aver messo uno dei suoi a guidare l’Expo hanno scelto di affidare la guida della coalizione di centrosinistra a un manager che secondo Silvio Berlusconi non sarebbe mai potuto essere premiato dagli elettori di sinistra per una ragione semplice: che Sala è di destra.

 

Ricapitoliamo, vediamo se abbiamo capito. A Roma, dove trovare qualcuno disposto a candidarsi come sindaco è semplice come trovare nell’Inter un attaccante disposto a fare più di un gol a partita, i partiti di centrodestra, tranne qualche piccola e marginale eccezione, hanno tutta l’intenzione di scommettere su un imprenditore di nome Alfio Marchini, detto Arfio, nipote di un partigiano, figlio di una famiglia di costruttori un tempo vicina al Partito comunista italiano, e beniamino, Arfio, di un pezzo importante della classe dirigente progressista romana (dettagli: il suo testimone di nozze, diciamo, è stato il tesoriere della Fondazione ItalianiEuropei).

 

Ricapitoliamo, vediamo se abbiamo capito. A Milano, la sinistra scommette sulla destra. A Roma, la destra scommette sulla sinistra. Giandomenico Fracchia, in arte Paolo Villaggio, potrebbe ironizzare sulle complicate traiettorie dei grandi partiti italiani ricorrendo al classico: “Mi si sono intrecciati i diti, me li streccia?”. Ma in realtà quello che stiamo vedendo e che osserviamo già da un po’ nelle grandi città non è altro che la conseguenza e l’effetto di un fenomeno grande come un iceberg le cui mille punte (il trasversale patto del Nazareno, il trasversale partito della nazione, la trasversale elezione di sindaci come Brugnaro a Venezia) emergono ormai con continuità nella politica quotidiana. Tu chiamala, se vuoi, pacificazione. Tu chiamala, se vuoi, contaminazione. Tu chiamalo, se vuoi, partito della nazione. Il senso non cambia. E non si tratta di dire che destra e sinistra sono intercambiabili, cialtronata grillina, si tratta solo di dire che in un’epoca geologica in cui le grandi guerre sono finite è naturale che succeda quello che vediamo. Ed è naturale che i partiti che hanno intenzione di governare si contendano uno stesso bacino politico, creando così inevitabili sovrapposizioni.

 

[**Video_box_2**]Da un certo punto di vista, per una sinistra che ha sempre considerato di destra ciò che invece era semplicemente di governo, l’ouverture risulta ovviamente più scandalosa e dunque più clamorosa. Ma allo stesso tempo, almeno fino a quando i movimenti a 5 stelle avranno fiato per soffiare nelle trombe del populismo, è inevitabile che una sinistra che rinuncia a ottenere i voti della sinistra arcobaleno, dei Landini, degli Airaudo e dei Civati, si apra non solo agli elettori di destra ma anche a pezzi di classe dirigente con potenzialità per attrarre i voti delle opposte coalizioni. Sarebbe troppo dire che il patto del Nazareno ha già cambiato l’Italia. Sarebbe troppo perché l’Italia, ai tempi del patto del Nazareno, era già cambiata da un pezzo e in quel contesto ha trovato due leader disposti a certificare il cambiamento. Il patto oggi non c’è più. Ma quell’Italia esiste ed è naturale che chi vuole vincere le elezioni tenti di rappresentare quel gran pezzo dell’Italia nazarena. Anche a costo a volte di ritrovarsi con i diti intrecciati.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.