Fabrizio Cicchitto, Angelino Alfano, Maurizio Lupi, Denis Verdini alla Camera (foto LaPresse)

Mucchio selvaggio

Salvatore Merlo
In un parapiglia di diagnosi, sospetti, allarmi e speranze, mentre le elezioni (anticipate?) si avvicinano pericolosamente, nel centrodestra esploso tutti parlano con tutti, e tutti incontrano tutti: Verdini, Alfano, Fitto, Lupi, Tosi, Casini, Cesa, Buttiglione.

Roma. Che sia un listone di centro pronto ad allearsi con Renzi o un’ammucchiata di ascari del Pd, che sia preludio porno o d’impegno politico, si vedrà. Ma in un parapiglia di diagnosi, sospetti, allarmi e speranze, mentre le elezioni (anticipate?) si avvicinano pericolosamente, nel centrodestra esploso tutti parlano con tutti, e tutti incontrano tutti: Verdini, Alfano, Fitto, Lupi, Tosi, Casini, Cesa, Buttiglione… E alla Camera, come al Senato, si ripetono giornate intere con le stesse scene e con la stessa pena, dalla buvette al cortile, dal cortile al Transatlantico, dal Transatlantico all’Aula, dall’Aula al bagno: una vita circolare, dove sempre si torna al punto d’inizio: “Le elezioni potrebbero essere nel 2017. Che dobbiamo fare, ragazzi?”.

 

E questo interrogativo se lo rimpallano tra loro, i piccoli leader dei piccoli partiti, con allarme, facendo l’eco ai loro senatori e deputati – che tutti insieme sono quasi centoventi – sempre più tristi, torvi e spaventati, centoventi anime in pena che volteggiano sulla palude del nulla, l’abisso della mancata rielezione. “A meno che non ci si dà una mossa”, dice Sergio Pizzolante, vicecapogruppo di Ncd alla Camera, uno che in questi giorni incontra tutti e parla con tutti. E il da farsi lo spiega Massimo Parisi, deputato, già coordinatore toscano di Forza Italia, da sempre braccio destro di Verdini: “C’è una scommessa in campo. Esiste un elettorato che guarda a Renzi, ma non si fida del Pd”. E Pizzolante: “Nella società italiana esiste un popolo di moderati che vede in Renzi l’ultima opportunità, l’ultimo baluardo contro i movimenti antisistema. Tutta gente che voterebbe Renzi, ma non voterebbe mai il partito di Renzi”. E allora voterebbe Alfano, o Casini, o Verdini? Improbabile. “Bisogna che i leader siano pronti a un passo indietro”.

 

[**Video_box_2**]E davvero in Parlamento è un lungo immutabile andare e tornare, incrociarsi e separarsi, intere maratone di passi perduti sul bel pavimento di marmo: i diciannove senatori e i nove deputati di Verdini, i trentadue senatori e trentuno deputati di Alfano e di Cesa, i quindici senatori dell’eterogeneo gruppo Gal, i tre senatori di Tosi, e poi gli undici deputati di Fitto, guidati da un leader che non vuole mescolarsi ai “detriti di centrodestra che vogliono andare a sinistra”, ma che pure cominciano a contestare il loro capo (“guarda che per me stai sbagliando”, gli ha detto Rocco Palese, senatore fedelissimo, quasi un fratello per Fitto). E così in ognuno di questi piccoli gruppi fermenta un sordo malumore rivolto all’uomo al comando, un borbottare che allude a nuove esplosioni, e che spinge i capi ad accelerare meccanismi federativi che possano tranquillizzare i parlamentari, offrire un vago orizzonte elettorale. “Ma i leader devono comunque fare un passo indietro”, dice Pizzolante. Anche Alfano? “Alfano non riesce a rappresentare tutta l’area moderata, per farlo occorre saper dire dei ‘no’ al presidente del Consiglio. Renzi va aiutato a uscire da un’autoreferenzialità che potrebbe portarlo all’azzardo elettorale: lui pensa di vincere da solo. Ma non è così. E se perde, guardate che finiamo come la Grecia. Serve un’area politica ed elettorale che aiuti Renzi a vincere le elezioni, e che lo corregga nelle sbandate a sinistra”. Ma come, come si fa? “Io ho creato un comitato referendario per il ‘sì’”, dice Ferdinando Adornato, un tempo Forza Italia, adesso Udc. “Bisogna decidere se sommare tutti gli zerovirgola dei piccoli partiti, o se rivendicare il buono delle riforme”, dice lui. “Da qui passa la differenza tra la ragioneria e la politica”. Il referendum è a ottobre, e i comitati possono diventare comitati elettorali. Il voto anticipato, dunque. Il 2017. Un brivido universale.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.