Il presidente del’Associazione nazionale magistrati Rodolfo Sabelli (foto LaPresse)

Perché l'Anm continua a comportarsi da organo politico e non da associazione di categoria

Rocco Todero
Al netto delle osservazioni critiche che potrebbero essere rivolte al “merito” delle scelte di indirizzo politico generale esplicitamente sostenute dall’Anm, vi è da interrogarsi sulla coerenza delle rivendicazioni “politiche” dell’Anm (quali che esse siano) con il ruolo che è assegnato all’ordine giurisdizionale nell’ordinamento italiano secondo la Costituzione repubblicana.

Il congresso dell’Associazione Nazionale Magistrati celebratosi pochi giorni fa ha rappresentato l’ennesima occasione per rinfocolare le tensioni istituzionali, mai sopite in realtà, fra il mondo politico e i rappresentati dell’ordine giudiziario.
Le cronache giornalistiche dell’evento hanno dato atto dell’ennesimo scambio di accuse fra governo e “sindacato” dei magistrati, incluse successive ed annesse precisazioni e imbarazzanti retromarce.

 

Dietro il cono d’ombra della polemica spicciola sembra essere rimasta nascosta tuttavia la natura del vero oggetto delle richieste dell’Anm che si rivela ad un più attento esame dei documenti congressuali.

 

Alcuni passi della relazione introduttiva del presidente Sabelli, ad esempio, consentono di comprendere come l’Associazione nazionale magistrati si candidi in realtà ad assumere un ruolo di primissimo piano nella definizione dell’indirizzo politico nazionale a fianco e forse in concorrenza con governo e Parlamento.

 

Il dott. Sabelli, infatti, ha esordito rivendicando il primato della politica sull’economia – “I temi economici vanno dunque ricondotti all’alveo delle decisioni politiche” – e ha continuato sostenendo che “va dunque respinta l’idea strisciante che a minori garanzie e a minori controlli possa corrispondere una maggiore crescita, come se il problema consistesse nella regola e non piuttosto nella sua violazione”.

 

L’esposizione del programma politico ha assunto una più accurata definizione “culturale” allorché il Presidente dell’Anm ha tenuto a chiarire come “è proprio in tempi di crisi che diviene più pressante la necessità di tutelare i diritti sociali, quando la difficoltà della contingenza economica grava sui più deboli e più disagiati e finisce purtroppo con lo stimolare paure ed egoismi, piuttosto che rafforzare i vincoli di solidarietà”.

 

L’Anm sembra esprimere un indirizzo politico generale di chiara derivazione social democratica che si contrappone, ad esempio, a quello liberale/liberista. E infatti: i diritti sociali devono essere tutelati prima e meglio delle libertà individuali e di quelle economiche in particolare, il vincolo di solidarietà fra cittadini deve essere rafforzato senza alcun limite e con evidente aggravio sui livelli di tassazione individuale, la crescita economica non di-pende dalla quantità  e dalla qualità delle regole giuridiche.

 

Al netto delle osservazioni critiche che potrebbero essere rivolte al “merito” delle scelte di indirizzo politico generale esplicitamente sostenute dall’Anm, (la lettura, ad esempio, degli scritti del filosofo del diritto Bruno Leoni aiuterebbe a comprendere come le decisioni politiche si fondino sempre sul sacrificio non necessario delle minoranze, a differenza di quanto avviene nello sviluppo dei processi economici) vi è da interrogarsi sulla coerenza delle rivendicazioni “politiche” dell’Anm (quali che esse siano) con il ruolo che è assegnato all’ordine giurisdizionale nell’ordinamento italiano secondo la Costituzione repubblicana.

 

I giudici sono soggetti soltanto alla legge, la quale è espressione dell’indirizzo politico generale che la Costituzione riconduce esclusivamente alle scelte adottate da governo e Parlamento. L’ipotesi di una violazione della Costituzione da parte del potere legislativo è controbilanciata dalla possibilità che ogni singolo giudice si rivolga direttamente alla Corte costituzionale per sindacare l’operato del Parlamento.

 

Ma questo equilibrio per l’Anm non sembra essere soddisfacente. Il sindacato delle toghe rivendica l’adozione di un indirizzo politico attraverso l’emanazione di leggi il cui contenuto dovrebbe essere uno ed uno solo, quello voluto dalle toghe. Ciò vale in materia di prescrizione penale, di intercettazioni telefoniche e ambientali, di falso in bilancio, di lotta alla corruzione, di contrasto all’evasione fiscale, di politiche del lavoro, di lotta alla criminalità. Non vi è materia in cui non si chieda di tramutare in legge le proposte dell’Anm; ora anche in materia di sviluppo economico, a proposito del quale, per dirne una, la Corte costituzionale – affermando che “è ragionevole ritenere che le politiche economiche volte ad alleggerire la regolazione, liberandola dagli oneri inutili e sproporzionati, perseguano lo scopo di sostenere lo sviluppo dell’economia nazionale” – ha sconfessato apertamente le affermazioni del dott. Sabelli.

 

[**Video_box_2**]Ma ciò che risulta dirimente, come detto, non è tanto il merito dell’elaborazione culturale dell’Anm, (da anni peraltro in constante contrapposizione con le esigenze economiche nazionali) quanto l’interpretazione che l’associazione dà del proprio ruolo. Non già quello di associazione di categoria che si limita a operare a tutela dello status giuridico dei propri associati, quanto di organo politico il cui unico desiderio è quello di dettare (col condimento di accuse, polemiche e invasioni di campo) l’indirizzo politico nazionale a governo e Parlamento.

 

Con buona pace del principio della separazione dei poteri.

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