Alfonso Sabella (foto LaPresse)

Ora risparmiateci un altro sorteggiato dall'Albo dei moralizzatori

Renzo Rosati
Se non vi è bastata la parabola di Marino, ci sono Sabella e Cantone pronti. Ma poi ricordate De Magistris, Crocetta, Ingroia…

E ora chiunque si candidi a sindaco di Roma, e per tutte le successive elezioni, risparmiateci una cosa: l’obbligo di iscrizione all’Albo unico dei Moralizzatori, all'Ordine nazionale della Legalità. Lo scriviamo con le maiuscole, come Corte costituzionale, come la sigla di un partito o quella dell’Automobile club, perché queste rutilanti quanto fallimentari entità hanno assunto – anche la vicenda di Ignazio Marino lo dimostra – un ruolo nefasto istituzionale e politico, dunque di potere, che nessuna Costituzione e legge democratica ha mai loro assegnato; un’immanenza decretata dalla debolezza dei partiti, di sinistra e della destra sempre tentata dal populismo, dal tartufismo del giornalista collettivo, dal luogocomunismo di talk show sempre più inutili e ringhiosi.

 

Tutti ricordiamo la parabola di Marino e della sua sindacatura a Roma: vinse in nome della diversità e della “società civile”, con lo zainetto, bicicletta e scorta ciclistica-motorizzata, contro Lupomanno e soprattutto contro il suo partito; ha iniziato aggravando le mostruose inefficienze del Campidoglio e delle partecipate, dove solo la totale o parziale privatizzazione sempre boicottata avrebbe forse potuto qualcosa; quando poi è arrivata la gran bufala di Mafia Capitale ha piazzato come assessore l'ex pm Alfonso Sabella, uno dei professionisti dell’antimafia affermatisi sul ricordo dei Falcone e dei Borsellino; infine la nemesi degli scontrini di viaggio e delle note spese. Roma sprofonda, non certo per la combriccola dei Buzzi e dei Carminati, ma perché è bloccata, bollita e non regge al paragone delle altre capitali. Rispetto all’èra Rutelli e Veltroni, per citare due sindaci di sinistra, ha perso infinite posizioni; ma le ha perse anche rispetto a Nicola Signorello, detto “pennacchione”, l’immobile andreottiano (scrisse un libro intitolato “A piccoli passi”) che però faceva spazzare le strade. Rutelli, Veltroni, e prima ancora il comunistissimo e rimpianto Luigi Petroselli, non ebbero mai bisogno di assessori alla Legalità, di prefetti-commissari, della protezione di zar anticorruzione alla Raffaele Cantone, non si proclamarono in primis espressione della “gggente”. Infatti lo erano della politica. Per nessuno furono rose e fiori, in quanto la politica stessa, diceva Rino Formica, è “sangue e merda”. E così è a Parigi, dove la politica d’alto bordo ha scelto Jacques Chirac, Bertrand Delanoë, Anne Hidalgo; a Londra passata da Ken Livingstone “il rosso” all'ultra-tory Boris Livingstone; idem a New York, a Madrid.

 

[**Video_box_2**]In Italia il tragico e tragicomico fallimento dei delegati alla moralizzazione comincia con Antonio Di Pietro, prosegue a Napoli con Luigi De Magistris – Antonio Bassolino e Vincenzo De Luca al confronto sono due giganti – passa per la doppia bocciatura a Venezia di Felice Casson, per l’incredibile commedia siculo-nazionale di Antonio Ingroia: tutti ex pm. Ad Ingroia offre poi cariche e ribalta uno che magistrato non è mai stato, ma si è comunque aggregato al carrozzone dei benecomunisti: il governatore siciliano Rosario Crocetta, che gli assegna la presidenza di Riscossione Sicilia, una Equitalia locale, poi di Sicilia e-Servizi, azienda pubblica per l'informatizzazione, infine lo nomina commissario della provincia di Trapani. Una vera passione, intanto che Crocetta, sempre in nome della “società civile”, sceglie assessori nell’arco Franco Battiato-Antonino Zichichi. Un altro esperimento di grande successo, come è noto. Ora a Roma si leccano i baffi i grillini, che sul diversismo pop ci campano; eppure il bluff comincia a cadere anche all’estero. Per dire, Michel Platini, quello che doveva moralizzare il grande capo della Fifa Joseph Blatter, è finito a sua volta nel sacco, anzi nel pallone. I segnali si moltiplicano: gli Avengers vanno benissimo al cinema, in versione Marvel. Fuori ne abbiamo abbastanza.