Maurizio Landini (foto LaPresse)

Landini e la rivoluzione da talk-show

Mario Sechi
Il segretario della Fiom occupa le tv con nonchalance operista, capovolge il mondo e sballa le previsioni. Più che un sindacalista, uno sceneggiatore. Se Xavier Broseta si salva per un pelo dal linciaggio, scavalcando il cancello del quartier generale di Air France, a torso nudo, tutto questo è frutto della diseguaglianza

Quando ho visto Maurizio Landini sugli schermi di “Agorà” (Rai 3) dire con nonchalance operaista che lui, perbacco, è contrario alla caccia all’uomo aperta dai dipendenti di Air France contro i dirigenti ma, tuoni e fulmini, sarebbe pronto “a occupare le fabbriche per difendere il lavoro”, ho pensato: ci risiamo con la rivoluzione da talk-show, il mondo capovolto in tv. Landini ha le idee chiare: se Xavier Broseta si salva per un pelo dal linciaggio, scavalcando il cancello del quartier generale di Air France, a torso nudo, tutto questo è frutto della diseguaglianza, perché c’è “un grande divario nella distribuzione del reddito che si è allargato sempre di più”. Sarà per questo che al Broseta hanno strappato la camicia. Via il colletto bianco e vai con un bel pestaggio in nome della parità di reddito.

 

La categoria dei Landinistas in Italia è il gradito ospite dei talk-show, materiale da spettacolo in pixel che esibisce un contorsionismo mentale da “ma però”, un cortocircuito cerebrale che riesce a dissociarsi da ciò che è visivamente scomodo, ma riesce ad associarsi all’idea che la colpa è del capitalismo (sempre malvagio) e dell’imprenditore (sempre avido). Il cervello e la lingua s’accoppiano automaticamente, in tecnologia bluetooth, per cui a una tal domanda è incorporata una tal risposta. Questo serve alla sceneggiatura, fa il copione della trasmissione, esprime nettamente il charachter e la realtà vola allegramente dalla finestra per lasciare il posto alla fiction. I Landinistas sono materiale prezioso, da coccolare, la ciambella di salvataggio degli autori e conduttori. Non chiudono un contratto, i Landinistas, perdono rappresentanza (sindacale e politica) ma un posto in un salotto televisivo per loro ci sarà sempre. Perché i Landinistas sono i più duri tra i “peggioristi”, una tribù italica che ha fatto del “va tutto peggio e per noi dunque va tutto meglio”, una fonte inesauribile di visibilità, potere e reddito.

 

[**Video_box_2**]Anni fa, quando Sergio Marchionne prese in mano una Fiat pronta a portare i libri in tribunale, dipingevano il manager nato a Chieti e made in America come la sventura più grande che fosse capitata al nostro paese. Eletto al vertice della Fiom nel giugno del 2010, Landini dimostra subito una capacità ineguagliabile di leggere i fatti dell’economia e soprattutto di capire dove va il mercato dell’auto. Eccolo qui, predire il futuro con la sua sfera di cristallo in un’intervista al Manifesto il 26 ottobre: “La Fiat sta perdendo vendite più degli altri, riduce la sua quota in Italia e in Europa. Gli altri produttori investono su ricerca e nuovi modelli, ciò significa che quando anche ripartisse la domanda la Fiat si troverebbe ancora in difficoltà. Altro che triplicare la produzione in Italia. Se aspetti tempi migliori per investire sei bell'e finito”. Fantastico. Cinque anni dopo, la previsione di Landini s’avvera: Fiat compra Chrysler e diventa il settimo costruttore del mondo, consegna 4,6 milioni di automobili all’anno, i dipendenti passano dai 137 mila del 2010 ai 228 mila del 2014, i ricavi salgano da 35 a 96 miliardi, quella che era la fabbrica degli assenteisti, Pomigliano d’Arco, diventa un modello industriale e conquista l’oro nel World Class Manufactoring, la Jeep è un successo mondiale, Ferrari e Maserati macinano record di vendita, la 500 è un successo, la Panda si conferma inossidabile, le vendite in Italia a settembre di quest’anno schizzano a +20,3%, sopra la media del mercato che è a +17,15%, nella classifica dei dieci modelli più venduti cinque sono Fiat”. Le previsioni di Landini? Tutto dimenticato. Era la sceneggiatura del talk show.
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