A tu per tu

Senza ombra Del Debbio

Salvatore Merlo

Mi manda Confalonieri, mi candida il Cav. (forse). Conversazione con il berlusconiano riluttante che ha scritto il primo programma di Forza Italia. Tra palle, tivù e Teologia.

Mentre lo racconta gli viene da ridere. “Era il 1993 e un pomeriggio ad Arcore Berlusconi mi disse: siccome vincerò le elezioni mi servirebbe anche un programma di governo. Ora ti ci metti e me lo scrivi”. E ti sembrò un megalomane. “Megalomane? Avevo trentacinque anni e mi trovai avvolto nel turbinìo mentale di questo ricco signore, padrone dell’azienda per la quale lavoravo. Sapevo che dieci anni prima aveva detto ad Adriano Galliani all’incirca queste parole: farò tre reti televisive in concorrenza diretta con la Rai. Roba da matti. Ma dieci anni dopo quelle tre reti erano lì. Esistevano, cazzo. Io ci lavoravo. Alla Fininvest questa storia la sapevano tutti. Allora pensai, e chi lo sa, magari questo ci riesce sul serio anche con la politica. Quella sera uscii da Arcore che il Cavaliere mi aveva come ubriacato. Mi ricordo che sbagliai strada. Dovevo tornare a Milano, e a un certo punto, senza accorgermene ero arrivato a Torino”.

 

Laureato in Filosofia, una specializzazione in Teologia, ex seminarista (“andai in seminario a sedici anni, a Lucca, ma mi venne la malinconia”), giornalista, professore di “Etica ed economia” alla Iulm di Milano, conduttore televisivo a Rete4, ex assessore di Gabriele Albertini (“inventammo il vigile di quartiere”), già candidato presidente della Toscana (“presi il 37 per cento contro il granduca Vannino Chiti, fu un miracolo”), adesso di Paolo Del Debbio si dice sia il prossimo candidato del centrodestra a sindaco di Milano, o forse addirittura il prossimo leader del centrodestra, è candidato a qualsiasi cosa: è lui l’ultimo dinosauro dal cilindro del Cavaliere. “Ma non sono interessato”. Berlusconi tritura anche così gli uomini che gli stanno intorno. “Berlusconi è come la candela della fiaba di Leonardo da Vinci. Attrae e riscalda, t’illumina ma se ti avvicini troppo ti brucia. Io gli sono debitore e gli sono grato. Ma la mia candidatura non è un’idea sua. E a me la politica non interessa”. Come ti vedi tra qualche anno? “Un vecchio rincoglionito”. Nessuna ambizione, non farai politica, sei sincero? “Abbastanza”.

 

Sei stato il tutor di Marina Berlusconi, quando ad Arcore pensavano alla successione dinastica. “Magari avessi potuto fare la vita del tutor, del precettore, come Hegel”. Niente Marina e niente del Debbio, dopo Silvio. Che deve fare il Cavaliere? “Deve lanciare qualcuno, avere il coraggio di investire su qualcuno. Può fare un congresso, le primarie, può esercitarsi con l’imposizione delle mani, l’unzione, con un battesimo o una cresima, costituire un ordine laico dei Legionari di Silvio, oppure istituire un Falansterio alla Fourier. Ecco un’idea! Un Falansterio a Villa Gernetto. Qualcosa verrà fuori. In questo momento il Cavaliere ha difficoltà a capire cosa fare. In azienda come in politica. Vedo grandi movimenti in azienda”. Potrebbe vendere, fondersi, diluirsi. “Lo leggo sui giornali. Mi pare che la situazione sia molto fluida”.

 

[Siamo seduti a un tavolinetto, all’aperto, al bar degli studi Mediaset di Roma, al Palatino. Ogni tre o quattro minuti si avvicina qualcuno per salutare Del Debbio. Arriva Annalisa Spiezie (Tgcom): “Ciao, ma allora ti candidi”. E lui: “Ma no”]

 

Perché in azienda ci sono stati collaboratori come Fedele Confalonieri e Adriano Galliani, mentre in politica le famose “zucche” trasformate in parlamentari? “Perché in azienda Berlusconi ha fatto l’imprenditore, con grande naso per chi era funzionale alla partita. Mentre in politica è stato un leader carismatico, un Sultano, in un mondo che si doveva risolvere tutto intorno a lui. Così si è affidato al materiale che gli stava intorno, con risultati di risulta. E poiché lui brucia, è una candela, attorno a lui hanno resistito più che altro i mediocri. In politica la nullità ha fatto da amianto”. Berlusconi compra l’anima dei suoi collaboratori? “Non pensa di governarti l’anima. Ma se trova una debolezza te la divora”. Tre anni fa nella fotografia di casa c’erano Bonaiuti e Verdini, Alfano e la segretaria Marinella, il maggiordomo Alfredo. Tutti scomparsi. “La fiamma della candela ondeggia a seconda del vento, a seconda di chi ci soffia sopra”. Oggi c’è il cosiddetto cerchio magico: Maria Rosaria Rossi, Giovanni Toti, Deborah Bergamini… “Non ne so niente. Ma attenzione, perché la candela si sposta continuamente e brucia. Sono molti quelli che usciti alla mattina per fottere sono tornati alla sera che erano fottuti”.

 

[Si avvicina Costanza Calabrese, conduttrice del Tg5: “E allora, già in campagna elettorale?”. E lui: “Ehm”]

 

Ecco, ma è possibile che un intero partito sia retto da dinamiche cortigiane? “E perché intorno a Renzi non ci sono dinamiche di corte? La corte è consustanziale al potere. E’ un fenomeno antropologico. Anche i divi della televisione hanno una corte attorno. E’ una cosa a metà tra la libidine e la coperta di Linus”. Ma il Pd, che è stato Pci e Dc, ha tessere, insediamenti, quadri. “E Forza Italia non ha mai sviluppato un pensiero organico né una classe dirigente. E’ vero. Così, quando devi fare il presidente della Repubblica, finisce che cerchi Giuliano Amato. Certo. Però il partito liquido, diciamo liquidissimo, è anche una forza e una necessità in questo caso: la centralità di Berlusconi, il superuomo che aveva su di sé tutti i voti”. Hai detto “aveva”, al passato. “Beh, ce ne ha di meno di voti. Lo dice il pallottoliere”.

 

Oggi Del Debbio è un volto della tivù (“ho cominciato a farla nel 2006, a quarantotto anni”). E’ quel signore che su Rete4 non alza mai la voce, ma è circondato da una gabbia di urlatori. “Io in televisione do solo voce alla piazza. Per quelli a cui non piace, c’è il telecomando. Liberissimi di cambiare canale. Io ho due categorie: gli svantaggiati e la piccola e media impresa”. E urlando si ragiona? “Quelli urlano perché stanno male”. Nell’urlo ci sono umori, mai pensiero. “Ma gli umori sono importanti. E la politica deve tenerne conto. Nell’urlo ci sono storie, sofferenze, problemi. E ascoltare, per la politica, è un dovere. Un politico che non ascolta il popolo è come un medico che non ascolta il paziente”. Beppe Grillo urla. “Grillo non è il popolo”. Ma da te urlano anche i politici. “E che ci posso fare io se sono maleducati, se si parlano addosso, se sbraitano? E poi mica urlano solo da me. Urlano dovunque. Sono fatti così”. Urlando si fa più share. “Mica vero. Guarda i dati. E’ una sciocchezza”. “La Gabbia”, su La7, è tutto urla, e andava maluccio, in effetti. “Il pubblico che guarda distingue il proprio urlo da quello dei politici”. Ma da Bruno Vespa non urla mai nessuno. “Da Vespa non si urla. Si ronza”. Ad Aldo Grasso la tua televisione non piace. “Dirò di lui quello che Renzi ha detto di Camusso: ce ne faremo una ragione”. E’ il più bravo e autorevole critico televisivo di questo paese. “Ce ne faremo una ragione anche di questo”. I giornali non contano? “Il popolo non li legge”.

 

[Giuseppe De Filippi e Barbara Li Donni, Tg5: “Ecco il sindaco!”. E lui sorride]

 

Hai scritto un libro: “Populista e me ne vanto”. Ed è davvero così, te ne vanti? “Se populista significa ritenere legittimo il parere della gente che sta nelle piazze, allora sì, sono populista”. Chi hai votato alle ultime elezioni? “Non ho votato”. E Berlusconi? “Due volte, nel ’94 e nel 2001”. La sinistra? “Votai Craxi negli anni Ottanta. Mi piaceva, mi piaceva l’idea del congresso di Rimini, quello di Claudio Martelli, quello dei meriti e dei bisogni. Provai a portare questa cosa in Forza Italia. Con scarso successo. Poi una volta ho votato i Radicali. Mi sono sempre sentito anarchico, libertario”. Si concilia male con uno che è stato in seminario e ha studiato Teologia. “No, e perché? Ha più voglia di assoluto un anarchico o un fascista?”. E Pannella lo conosci? “Avevamo un ottimo rapporto nel ’93-’94. I Radicali hanno sempre spinto ‘oltre’ questo paese, con un ruolo sapienziale, profetico. Per capire Pannella ci vuole la Bibbia, non Bakunin”. A messa ci vai? “Sì, ma mai la domenica. Mi annoia l’omelia. Di solito è un papocchio sociologico”. E Bergoglio? “E’ la teologia della liberazione. Il povero come figura centrale della teologia e la povertà come categoria architettonica della chiesa. Per capire il Papa bisogna leggere ‘Pour une Église servante et pauvre’ di Yves Congar, un domenicano francese, un teologo che alle soglie del Conclio Vaticano II scrisse quello che potrebbe essere oggi il manifesto del pontificato di Francesco I”.

 

Abbandoniamo i cieli altissimi. Sei entrato alla Fininvest nel 1988, come andò? “La mia fidanzata, Gina Nieri, che sarebbe diventata mia moglie, lavorava alla Frt, la Federazione Radio televisioni, e mi presentò a Fedele Confalonieri”. Che ti fece suo assistente particolare. “All’inizio facevo la rassegna stampa, poi, ed è stata la fortuna della mia vita, Confalonieri mi chiamò a fargli da assistente. Ancora oggi, scherzando mi dice: ‘Io ti ho fatto e io ti disfo’”. Lui è il berlusconismo dal volto umano. “E’ un uomo di equilibrio, non di mediazione come spesso viene descritto. La mediazione la fa quello che parla per ultimo, ed è una roba da sensali. Non è una cosa nobile. L’equilibrio è invece una scienza, è la capacità di saper fermare la pallina nel punto in cui si vuole. E senza che gli altri se ne accorgano”.

 

E come sei arrivato a scrivere il programma di Forza Italia nel 1994? “In azienda esisteva una struttura che aveva creato Confalonieri, una specie di centro studi. C’ero io, c’erano don Gianni Baget Bozzo, Pio Marconi, Antonio Martino, Giuliano Urbani, Gianfranco Ciaurro, che era stato segretario generale della Camera e segretario della commisione Buozzi, quella delle riforme istituzionali, la madre di tutte le successive bicamerali. Era un gruppo di riflessione, fu creato nel 1990, niente a che fare con la politica. Così, quando Berlusconi chiese a Confalonieri: ‘Tu chi hai da darmi?’, Confalonieri mi prestò al Cavaliere”. Confalonieri era contrario all’ingresso in politica. “Lui era in disaccordo, e mandò me. Bell’affare. Non avevo voglia. Poi invece fu esaltante. Cominciammo a lavorare a ottobre del 1993. A febbraio avevamo scritto il programma”. Non era male. Ma non se n’è fatto niente. “Piaceva agli italiani, meno ai politici, che lo hanno fatto a pezzi, dimenticato. Era un programma che parlava francese in Germania, una lingua liberale, che in Italia si era esaurita dopo Einaudi”. Vent’anni di berlusconismo. Cosa è rimasto? “Il Cavaliere ha creato la scatola del centrodestra, più o meno ha creato il bipolarismo. E ha introdotto i temi liberali nel circuito: le tasse. Prima del 1993 non esisteva questa roba. C’era solo il peggio di Keynes. A volte è stato maldestro, ma Berlusconi ha introdotto il verbo liberale nel dibattito pubblico italiano”. Qualcosa l’ha ripresa Renzi. “Renzi non ha un orizzonte culturale, difficile che possa esprimere una visione. E’ un politico del common sense. Gianteggiante, sì. Ma di questo tipo”. Non che Berlusconi abbia mai avuto un orizzonte culturale definito. “E invece ti stupirebbe. In quel periodo il Cavaliere mi dette una sola linea guida: dobbiamo far capire alla gente, dobbiamo tramutare in una cosa comprensibile le idee del liberismo. In questo fu bravissimo Antonio Martino, che si ispirava a Milton Friedman, l’economista che aveva scritto ‘Free to choose’, e che aveva fatto all’incirca quello che voleva Berlusconi: cioè tradurre in termini popolari il discorso liberale”.

 

[Assistente di regia, passa quasi senza fermarsi, e ad alta voce: “La possiamo chiamare sindaco?”. E lui: “Chiamami professore”]

 

[**Video_box_2**]Marcello Dell’Utri, anni fa, raccontò che saresti diventato ministro nel 1994, se tu avessi voluto. “Berlusconi mi propose il ministero della Famiglia, io rifiutai e lo diede ad Antonio Guidi. Preferivo occuparmi di idee. C’era un ufficio studi di Forza Italia, a quei tempi, in via del Corso 262. Poi lì ci andò la sede dell’Idv, il partito di Di Pietro. Pensa un po’”. Dell’Utri lo conosci bene? “E’ un mio amico. Abbiamo fatto cose magnifiche a Publitalia”. Condannato per mafia. “Il suo è uno di quei casi in cui il tempo ristabilirà la verità. Purtroppo però il tempo, adesso, scivola come sale sulle sue ferite”.

 

E tra il 1994 e il 2006, quando poi sei spuntato in tivù, che facevi? “L’ufficio studi, per due anni”. Ma eri dipendente Fininvest. “Mi dimisi. Puoi scrivere che sono l’unico in Italia ad aver sciolto il suo conflitto d’interessi”. Okay. Ufficio studi. Poi? “Fino al 1996, quando litigai con il Cavaliere. Mi ero rotto i coglioni. Volevo creare una fondazione, un think tank liberale, ma non ci credeva nessuno in Forza Italia. Mi diede una mano soltanto Gianfranco Fini, mi presentò qualche imprenditore per avere i denari necessari e così feci un’associazione che si chiamava LxL, Leggi per la libertà. Tutti i lunedì elaboravamo delle schede per i deputati che lavoravano nelle commissioni parlamentari. Poi finirono i soldi e chiudemmo. Così me ne andai da Forza Italia e per un paio d’anni facevo il consulente di comunicazione. A luglio del 1998 ricevetti una telefonata da Sergio Scalpelli, uno dei fondatori del Foglio, mi annunciava che a Milano s’era dimesso un assessore e che pensavano a me per sostituirlo. Dissì di sì. Il mio è stato il primo assessorato alla Sicurezza d’Italia. La gente pensa che il rinascimento di Milano, che i palazzo di Porta Garibaldi e Porta Nuova siano dovuti all’Expo. Quello è tutto merito di Gabriele Albertini”. Poi sei rientrato in azienda. “Nel 2001 fui riassunto. Collaboravo con Mediavideo a Mediaset, e scrivevo gli editoriali per il Giornale diretto da Maurizio Belpietro”. E nel 2006 la conduzione televisiva. “A quarantotto anni”.

 

Sei berlusconiano. “No, ma sono riconoscente a Berlusconi”. Tanti berlusconiani, in politica e no, adesso quasi dicono di non esserlo mai stati. “Quando Dio creo l’uomo, in una cesta aveva messo il corpo e in un’altra le palle. Per un errore la cesta delle palle non ne conteneva abbastanza per tutti i corpi”. Italiani voltagabbana? “Si può essere critici, si può cambiare idea, si può anche essere opportunisti, ma bisogna anche avere riconoscenza per un uomo che ha creato carriere e arricchito molte persone che oggi lo hanno abbandonato”. Vittorio Feltri ora critica il Cavaliere. “Feltri secondo me non ha mai lisciato il pelo”. E chi allora? “Ci sono persone che fuori dalla politica non saprebbero che fare. Ed è un dramma umano”. Se tu non avessi incontrato Confalonieri che avresti fatto nella vita? “E chi lo sa. Lavoravo all’Istituto internazionale Jacques Maritain. Ero segretario esecutivo. C’ero arrivato attraverso la Fuci, assieme a Giorgio Tonini, che oggi è parlamentare del Pd”. Certo che la politica spunta dietro ogni angolo nella tua biografia. “Ma non è così”.

 

[Chiuso il taccuino, si avvicina Luca Telese, conduttore di “Matrix”. Si siede al tavolino con noi. “E poi ti candidi a Milano, no?”. E lui, con l’aria di non poterne più: “Guarda, mi piacerebbe anche fare altre cose. Ma non la politica”. E Telese, con l’aria sorniona di chi non ci crede: “Certo, certo”]


La collana “A tu per tu” di Salvatore Merlo ha ospitato finora Ferruccio de Bortoli (19 febbraio 2014), Ezio Mauro (22 febbraio 2014), Giancarlo Leone (1° marzo 2014), Flavio Briatore (7 marzo 2014), Fedele Confalonieri (15 marzo 2014), Giovanni Minoli (29 marzo 2014), Luca di Montezemolo (3 aprile 2014), Urbano Cairo (10 maggio 2014), Claudio Lotito (2 luglio 2014), Giovanni Malagò (26 luglio 2014), Beppe Caschetto (9 ottobre 2014), Bruno Vespa (29 novembre 2014), Vincino (10 gennaio 2015), Marco Carrai (13 febbraio 2015), Ettore Bernabei (17 marzo 2015), Umberto Bossi (5 aprile 2015).

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.