Silvio Berlusconi (foto LaPresse)

Segna sempre lui

Alessandro Giuli
Domani chissà, ma al momento nessuno può negare che tutte le strade istituzionali passano per Silvio Berlusconi. La vicenda Rai è un caso di resipiscenza tardonazarenica debitamente negata dagli attori protagonisti solo per calcoli di bottega.

Domani chissà, ma al momento nessuno può negare che tutte le strade istituzionali passano per Silvio Berlusconi. La vicenda Rai è un caso di resipiscenza tardonazarenica debitamente negata dagli attori protagonisti solo per calcoli di bottega. E anche il rintocco suonato due giorni fa da Giorgio Napolitano – sulle riforme costituzionali non si torna indietro e anzi bisogna creare e mantenere un largo consenso – segnala una verità che la scuola del realismo politico post comunista, di cui il presidente emerito è illustre interprete, aveva già posto in essere a inizio legislatura: se non di una Grande coalizione con Forza Italia, c’è comunque necessità d’un patto di sistema con il Caimano. Il metodo dell’elezione al Quirinale di Sergio Mattarella (prima si decide nel Pd, poi si cerca il consenso di chi ci sta, se ci sta, fra alleati e oppositori) ha, sì, garantito a Matteo Renzi una tregua con la minoranza interna e la benevolenza di un capo dello Stato meno interventista del precedente, ma gli ha anche sottratto un requisito essenziale per mantenere a un livello alto le aspettative di vita del suo governo: un interlocutore forte e leale nel cammino del riforme. Senza contare che il pregio di Mattarella agli occhi di Renzi, e cioè un profilo mediobasso, con una silenziosa ritrosia a esporsi nello spazio pubblico della politica legiferante, alla lunga sta anche rivelando il suo calco negativo: un atteggiamento quirinalizio di calma neutralità rispetto alla tenuta (sopra tutto numerica, ma non soltanto) della maggioranza in Senato. Il che induce gli odiatori e gli invidiosi del premier a figurarsi perfino la possibilità di un governo alternativo a quello di Renzi che nascerebbe in autunno, nel caso di rovesci ingestibili a Palazzo Madama dopo la rentrée di settembre (vero, signor presidente Pietro Grasso?). Qualche insidia c’è davvero, ma a occhio direi che è un sogno senza speranza.

 

L’altra illusione che sta svaporando al sole è appunto quella di rimpiazzare Forza Italia, sia nel piccolo cabotaggio delle commissioni e del tramestio nelle Aule delle Camere, sia nelle partite principali del sotto e del sopra governo. Qualcuno, nei giornaloni e nelle retrovie del renzismo, favoleggia ancora intorno ai volenterosi scissionisti di Denis Verdini dopo aver incoraggiato e assistito, oltre un anno fa, l’ammutinamento dei ministeriali di Angelino Alfano (banda Ncd) e dopo aver sovrastimato più di recente il peso della fronda capeggiata da Raffaele Fitto, il Davide Cameron del Tavoliere. Niente da fare. Per ragioni aritmetiche e di banale scienza politica, a Renzi non conviene intrecciare il proprio destino alla presenza intermittente di truppe parlamentari ausiliarie così variegate e incoerenti, peraltro scavalcate di volta in volta dai molteplici stati dell’essere berlusconiano: più anti renziano di Fitto se occorra; e più di chiunque altro strategicamente necessario e disposto al confronto con il premier, qualora convenga. In poche parole: segna sempre lui.