Il presidente del Senato Pietro Grasso (foto LaPresse)

Il potere di Grasso sulle riforme

Redazione
Appare sempre più chiaro che il vero antagonista di Matteo Renzi, in questa fase, è il presidente del Senato. Contro i bersaniani alla riscossa a Palazzo serve un centrodestra unito.

Appare sempre più chiaro che il vero antagonista di Matteo Renzi, in questa fase, è il presidente del Senato Pietro Grasso. Eletto da una maggioranza “bersaniana”, punto di riferimento oggettivo della forte ala giustizialista, Grasso ha rivendicato il suo ruolo di giudice di ultima istanza sulle procedure per la discussione della riforma del Senato, il che gli consente di dare spazio all’ostruzionismo se Renzi non accetterà di pattuire con lui le modifiche richieste. Quatto quatto, senza uscire formalmente dai suoi poteri istituzionali, Grasso è in grado di far arenare il progetto riformista dell’esecutivo, per poi ottenere dal presidente della Repubblica (anche lui eletto dalla stessa maggioranza), in caso di crisi di governo, il mandato per costituire un governo “istituzionale” che Renzi avrebbe difficoltà a bocciare.

 

Proprio questa prospettiva, tutt’altro che fantapolitica, conferisce al presidente del Senato una forza contrattuale almeno pari a quella del presidente del Consiglio. Gli oppositori di centrodestra – compresa la Lega che con la sua valanga di emendamenti offre a Grasso un appoggio indiretto e forse involontario – dovrebbero riflettere bene sulla prospettiva che contribuiscono ad aprire con il loro appoggio strumentale a modifiche della riforma costituzionale vicine a quelle richieste perentoriamente dalla minoranza del Pd. Riconsegnare il paese a una confusa consorteria tra apparati burocratici e pulsioni giustizialiste, magari appoggiate alla fine dalla demagogia grillina che cerca una via traversa per accedere al potere, non è certo nell’interesse dei moderati e nemmeno degli “arrabbiati” del centrodestra.

 

[**Video_box_2**]Per evitare questa deriva, che consentirebbe alla recriminazione bersaniana di passare da fenomeno di (mal) costume a tattica politica vincente, sarebbe necessario che il centrodestra ritornasse a unirsi sugli stessi princìpi di riforma istituzionale che avevano portato alla riforma approvata dal Parlamento e sciaguratamente bocciata dal referendum, che somiglia davvero molto a quella oggi in discussione. Senza uno scatto di volontà dei riformatori, di quelli che stanno nella maggioranza e di quelli che stanno all’opposizione, il disegno destabilizzante che oggi si incarna nella figura del presidente del Senato ha troppe probabilità di successo. Senza un apporto serio del centrodestra, legato a una discussione sui punti deboli della riforma ma improntato alla scelta di fondo del superamento del bicameralismo, l’unica alternativa al governicchio istituzionale è il ricorso a elezioni anticipate, che comunque vadano, segnano l’ennesimo fallimento della indispensabile opera di rinnovamento delle istituzioni. Cioè la vittoria del conservatorismo paralizzante della sinistra italiana più tradizionalista.