Mario Monti (foto LaPresse)

Cosa perde l'Europa se cede al partito del ricatto greco

Claudio Cerasa
“Non ci sarà Grexit ma il contagio politico è già iniziato. L’Euro rischia”. Chiacchierata con Mario Monti: “Non c’è democrazia senza cessione di sovranità. Il resto è demagogia”.

Roma. “Purtroppo non possiamo più girarci intorno e dobbiamo osservare con onestà quello che sta accadendo attorno a noi. Può piacere o no, e a me non piace, ma mettendo in fila tutto, non solo il referendum greco, dobbiamo riconoscere che l’euro e la stessa integrazione europea non sono mai stati così a rischio. E comunque finiscano le trattative tra le autorità europee e il governo Tsipras, siamo entrati in una fase storica in cui le forze che spingono per far saltare l’integrazione dell’Europa per la prima volta hanno un orizzonte e un percorso credibile”. Mario Monti lo dice con diplomazia e dando il giusto peso alle parole ma il ragionamento che l’ex presidente del Consiglio sceglie di consegnare al Foglio è duro, a suo modo drammatico, e riguarda quello che in queste ore appare il rischio maggiore nella goffa ma pericolosa partita a scacchi giocata dalla Grecia: il contagio politico. Monti non pensa, come sostiene il Foglio, che la soluzione migliore per evitare che in Europa il partito del ricatto si imponga sul partito delle regole sia l’uscita immediata della Grecia dall’Eurozona, ma condivide l’idea che per arginare il contagio politico sia consigliabile, per i capi di governo europei, impostare una trattativa che eviti di offrire regali al premier greco.

 

"Credo – dice Monti – che una soluzione sia possibile e sono convinto che si riuscirà a costruire un compromesso che possa evitare l’uscita della Grecia dall’Eurozona, forse rimandando alcune scadenze del debito e riducendone un poco il costo in cambio di un accordo che però non potrà essere molto più leggero di quello che il governo Tsipras si è rifiutato di firmare”. E’ un paradosso: come può Tsipras accettare un accordo non troppo diverso rispetto a quello che è stato bocciato dal referendum? “Dovrà farlo, a mio avviso, per due ragioni. La prima ragione, che spesso sfugge agli osservatori, è che uscire dall’Eurozona oggi costringerebbe la Grecia a mettere in campo un piano di restrizioni e di riforme molto più duro rispetto a quello che il paese ha seguito in questi anni e in questi mesi. La seconda ragione è più politica che tecnica ed è forse ancora più importate”.

 

Continua Mario Monti: “La vittoria del no, pur avendo rafforzato Tsipras sul piano interno, non l’ha affatto rafforzato nel negoziato con l’Europa. Questa sarà probabilmente più dura e rigorosa, non solo per evitare che appaia premiato chi ha violato i principi di lealtà e collaborazione tra partner, pur nelle divergenze di interessi, ma anche per evitare che il modello greco possa essere esportato. Eppure, mi verrebbe da dire, ormai la frittata è fatta: il referendum greco è stato una mossa tattica e cinica che non porterà benefici al paese governato da Tsipras ma è un precedente che potrà essere cavalcato dalle forze populiste che stanno emergendo in Europa. Sono convinto che già a novembre, quando si voterà in Spagna, i partiti che si ispirano a quel modello politico potranno riservare sorprese problematiche per l’Europa. E non capisco davvero tutti quei commentatori che in queste ore stanno descrivendo Tsipras come se fosse un moderno eroe della democrazia. Vogliamo parlare davvero di cosa è stato questo referendum? Nelle interviste che ho rilasciato ai media greci prima di domenica non ho mai espresso, al contrario di molte personalità europee e italiane, consigli di voto perché il popolo greco ha sempre dimostrato un convinto e maturo attaccamento all’Euro. Ho solo detto quali sarebbero state, a mio parere, le conseguenze di una vittoria del ‘sì’ o del ‘no’. E quelle del ‘no’, come l’indebolimento della forza contrattuale della Grecia nel negoziato, si stanno verificando. Oggi posso aggiungere che, pur avendo salutato con fiducia l’elezione di Tsipras, questa formula di referendum precipitoso, giocato contro il ‘nemico’ europeo, a me pare una formula non solo cinica, ma che rappresenta il contrario del coraggio politico; non l’assunzione di responsabilità da parte di un leader ma una forma di deresponsabilizzazione grave, di una politica che non vuole prendere decisioni difficili e preferisce farle prendere al popolo senza neppure dare ai cittadini il tempo e il modo per decidere con cognizione di causa. E’ la trasformazione della leadership in followership. Così, la democrazia va indietro, non avanti”.

 

Democrazia, già. Stuzzichiamo l’ex presidente del Consiglio su questo punto e gli chiediamo se per i paesi che fanno parte dell’Europa unita non sia doveroso cedere sovranità in cambio di integrazione.

 

“Cedere sovranità si trova alla base del concetto stesso di Unione europea e da un certo punto di vista è anche il modo migliore per rendere le democrazie più solide e sicure. La Francia e l’Italia, con altri, hanno voluto la moneta unica, inizialmente osteggiata dalla Germania, perché con mercati finanziari ormai integrati vedevano che, con le loro apparenti sovranità monetarie nazionali, di fatto i tassi di interesse li determinavano non la Banque de France o la Banca d’Italia, ma soltanto la Deutsche Bundesbank e i mercati. Così, oggi, se Le Pen, Salvini, Grillo riuscissero a far rinascere il franco e la lira, chi se ne avvantaggerebbe? Non i lavoratori o i disoccupati o i risparmiatori francesi e italiani, ma certamente la speculazione finanziaria, i politici nazionali (che liberi da vincoli europei potrebbero tornare a sfruttare i cittadini in santa pace, come facevano prima dell’Euro) e probabilmente la Germania, che ancor più di oggi sarebbe potenza egemone. Il recupero di sovranità monetaria, scopriremmo presto, sarebbe una fregatura sovrana. Chi pensa che sia un male o un crimine che i paesi riducano in qualche misura la loro sovranità non ha capito l’essenza dell’integrazione europea. Ed è curioso che quanti oggi si scagliano contro la mancanza di politiche economiche nazionali autonome siano gli stessi che si scagliano contro l’Europa perché non è in grado di darci una politica estera e della difesa comune né una politica comune sulle migrazioni.Il principio è lo stesso: se vuoi mettere in comune le forze e le decisioni devi accettare di delegare a qualcuno, scelto di comune accordo, un pezzo della tua sovranità. Se volessimo tornare alla pienezza, in tutti i campi, della sovranità dei singoli paesi, penseremmo forse di essere ‘patrioti’. Saremmo solo degli ignoranti di Storia: lasciate ciascuna a se stessa, per la gioia dei nazionalisti, le potenze (o debolezze) europee conterebbero sempre meno nel mondo e, temo proprio, tornerebbero a farsi la guerra”.

 

Monti sostiene che negli ultimi anni molti errori sono stati commessi anche dalla cancelleria Merkel e riconosce che anche il piano elaborato dall’Europa per la Grecia prevedeva, per le indispensabili misure di bilancio e riforme strutturali, che configuravano una sorta di rivoluzione per l’economia e la società greca, scadenze poco realistiche. Ma allo stesso tempo sostiene che in questa fase storica molti degli attacchi rivolti al capo del governo tedesco siano strumentali perché tendono a scaricare sulla signora Merkel responsabilità che invece riguardano esclusivamente le inadempienze di alcuni stati che spesso scelgono di nascondere sotto il tappeto i problemi dei propri paesi per evitare di dover mettere mano ad alcune riforme dure e impopolari riforme strutturali.

 

[**Video_box_2**]Renzi e la schiavitù della formula 80 euro

“Viviamo – dice Monti – in una fase in cui la tendenza della politica è quella di ragionare con la logica esclusiva del breve termine. L’Europa è piena di leader politici giovani e creativi, ma un po’ schiavi del consenso a tutti i costi, che ragionano sul breve più che sul lungo termine e che spesso rinunciano a fare le cose giuste solo per non perdere voti”. Il senatore Monti pensa a Renzi? “Penso che Renzi, a differenza di molti altri leader a cominciare da Tsipras, abbia una visione generale, di lucidità non comune, dei problemi strutturali del paese. Ma vorrei incoraggiarlo, proprio perché lui, Renzi, è figlio della generazione short term, a governare senza pensare eccessivamente alle prossime elezioni. Provando a emanciparsi, se così si può dire, dal ‘fascino degli 80 euro’, che ha portato sì benefici elettorali ma che come era prevedibile non ha portato, a fronte di un impegno ingente di risorse finanziarie scarse, grandi benefici al nostro sistema economico”.

 

Tra gli ultimi presidenti del Consiglio, a differenza di Enrico Letta, Romano Prodi e Massimo D’Alema, Monti, è quello che considera piuttosto lontana l’ipotesi di un forte contagio finanziario del nostro paese, tipo 2011, in caso di uscita della Grecia dalla zona Euro. E lo dice per due ragioni precise: “In primo luogo l’Italia, a partire dal 2011, ha messo in campo molte misure di bilancio e riforme strutturali serie, che permettono al nostro paese di avere gli anticorpi giusti per difendersi da attacchi speculativi. In secondo luogo, a differenza che nel 2011, la governance dell’Eurozona si è molto rafforzata. E ciò anche a causa della svolta nella politica monetaria della Bce avvenuta nell’estate 2012 ad opera di Draghi e resa possibile dalla forte spinta politica dell’Italia che nel giugno 2012 ha avuto ragione delle resistenze a lungo opposte dalla Germania, dall’Olanda e dalla Finlandia. Ora la Bce ha in mano tutti gli strumenti, a cominciare da quello scudo anti spread che è l’Omt, per scongiurare un attacco speculativo nel caso, remoto, di un forte contagio finanziario”.

 

Il ragionamento del professore, e il riferimento alla pazza estate del 2011 che portò alla caduta del governo Berlusconi e alla nascita del governo Monti, ci porta a ragionare con l’ex presidente del Consiglio su un punto chiave legato a quella famosa lettera della Bce che costituì uno spartiacque importante nel passaggio dall’esecutivo guidato dal Cav. a quello guidato dal Prof. Monti dice che alcuni contenuti di quella lettera restano ancora attuali e che il governo Renzi, oltre a non smantellare le riforme fatte dai governi precedenti, debba andare avanti risolutamente con le riforme che si è prefisso. Ma ripensando a quel periodo in cui i teorici del “Fate presto” credevano ciecamente nella bontà delle scelte dei mercati e delle tecnocrazie europee, salvo poi convertirsi di fronte al fascino del compagno Tsipras alla teoria del “Fate piano”, non c’è fretta, non fatevi influenzare dai mercati, difendete la vostra sovranità, e date addosso più che potete ala signora Merkel – ripensando a quei giorni Monti osserva che, pur condividendo i contenuti di quella lettera, non ne condivise l’opportunità sotto il profilo istituzionale.

 

“Comunque, la situazione oggi è molto diversa. Non credo ci sia il rischio che l’Italia si ritrovi sotto un forte attacco. E se siamo riusciti a non farci imporre alcun memorandum né alcuna troika a fine 2011 sono certo che, a prescindere da come andrà a finire il negoziato con la Grecia, il nostro paese resisterà. Che poi resista anche l’euro e l’Europa è davvero tutto da verificare. E oggi, purtroppo, non si può non essere un filo pessimisti”.

 

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.