Il premier greco Alexis Tsipras (foto LaPresse)

La fine del partito "Fate presto"

Claudio Cerasa
La Repubblica dello spread scopre improvvisamente in Grecia la crudeltà dei mercati - di Claudio Cerasa

Salve a tutti, vi ricordate di me? Sono un elettore gagliardo ma confuso. Osservo con curiosità e smarrimento i ragionamenti fatti in questi giorni sul referendum greco. Leggo articoli e dichiarazioni e interviste pazzotiche sul senso della democrazia ad Atene e il suo rapporto con le istituzioni europee e oggi mi trovo in una situazione buffa e surreale. Ve la spiego. Ma noi lettori ed elettori che abbiamo formato diligentemente la nostra identità politica e culturale imparando a memoria gli editoriali di Ezio Mauro, i commenti di Curzio Maltese, i fondi di Barbara Spinelli, i tweet di Gad Lerner, gli appelli di Gustavo Zagrebelsky, le interviste di Roberto Saviano. Noi lettori che abbiamo accettato con applausi convinti la teoria che fosse necessario delegare all’andamento dei tassi di interesse il futuro della nostra democrazia. Noi elettori che insomma abbiamo condiviso da subito l’idea che in una comunità democratica il volere dei mercati (ce lo chiedono i mercati) valga quasi quanto il volere degli elettori (ce lo chiede la gggente) come facciamo a ritrovarci in sintonia con i nostri maître à penser che dopo aver accettato nel 2011 di sospendere la democrazia in nome della necessaria nascita di un governo “del riscatto e dell’equità, per uscire dall’emergenza e recuperare la fiducia dei mercati, dell’Europa, dei cittadini”, per non tradire “la logica indispensabile di Bruxelles e dei saldi di Francoforte” (Ezio Mauro, 14 novembre 2011), perché “i segnali forti e inequivocabili dei mercati finanziari impongono al presidente Berlusconi una presa d’atto non più differibile” (7 novembre 2011, posizione ufficiale della segreteria del Partito democratico), adesso ci chiedono di osservare con simpatia e trasporto la battaglia combattuta in Grecia dal compagno Tsipras contro i mercati, le tecnocrazie europee, i neoliberismi, il nazismo finanziario e la dittatura dello spread?



 

Capisco, io elettore confuso e curioso, la coerenza di un Paul Krugman, che sia nel 2011 sia nel 2015 ha scelto di mettere in guardia il mondo dal rischio di mettere la democrazia nelle mani dolci della signorina Spread. Ma rileggendo alcuni commenti di quei giorni di fine 2011 – quando dire “eh, ma non si può andare contro i mercati” era diventato come dire “eh, ma non si può tenere in panchina Totti” – viene da pensare che c’è qualcosa che non torna se gli stessi che chiedevano a Berlusconi di fare presto, recitando a memoria gli editoriali di Repubblica e le parole di Massimo D’Alema, oggi sono lì a spiegare che in Europa non si vive di solo spread e di soli parametri di Maastricht e che – ohibò – non si può chiedere ai governi solo di fare presto e di assecondare i capricci della signorina Spread. Mi chiederete: e allora che cos’è che non torna? Non torna che i nostri campioni della morale in versione Spread omettono di riconoscere quello che è un problema ovvio e di carattere politico e culturale che riguarda i limiti alla sovranità dei paesi che vivono all’interno della cornice europea. E’ uno scambio esplicito e uno implicito. La sovranità di un paese che fa parte di una comunità non può dipendere solo dal mandato elettorale ma deve dipendere anche dai risultati del governo e dalla sua compatibilità con un contesto in cui i mercati comprano e finanziano il tuo debito. Non si tratta di complotti ma si tratta di un principio duro e lineare che se era valido nel 2011 con il Caimano brutto e cattivo deve essere valido anche oggi con nu’ bell’guaglione come Tsipras.

 

[**Video_box_2**] I vincoli di bilancio, come sostenevano nel 2011 gli stessi che oggi invitano a sostenere il compagno Alexis, sono un ingrediente fondamentale della democrazia, sono, come i mercati, dei grandi elettori dei governi. E purtroppo è dura da accettare ma per poter guidare un paese e ritrovarsi con monete che abbiano un valore diverso da quello del Monopoli non è sufficiente avere il consenso di Curzio Maltese e Gustavo Zagrebelsky. Tocca sempre, come direbbe qualcuno, non tradire “la logica indispensabile di Bruxelles e dei saldi di Francoforte” per “uscire dall’emergenza e recuperare la fiducia dei mercati, dell’Europa, dei cittadini”.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.