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Piccola Posta
La conta dei morti tra russi e ucraini e il dilemma tra chi sia più fesso o più cattivo
Nel conto ilare dei sostenitori della Grande Russia, la stessa orribile catasta di morti e feriti, più di un milione e duecentomila uomini, è una conferma dell'ideale, così come il numero di morti sovietici nella Grande Guerra Patriottica
L’unico umore contemporaneo possibile è quello nero, ma non è una ragione per negarselo. Gli immissari della Russia di Putin che ormai esigono dalle autorità di sgombrare definitivamente la scena pubblica dai solidali con l’Ucraina, e si fanno forti del sostegno dell’ambasciata russa, sono un episodio di strenua comicità. Pretendono inesorabilmente di non essere presi sul serio. Sono il nostro passatempo, e dobbiamo essergliene grati, perché hanno rivelato se stessi, e hanno finito di rivelarci a noi stessi. Siamo, i vecchi fra noi, riluttanti come vecchi muli a riconoscere che certe forsennate manifestazioni di oggi sono retroattive. Che chi passava per intelligente, e a volte si era anche procurato i titoli accademici, è fesso, dunque era piuttosto fesso anche prima. Chi passava per buono è cattivo, dunque lo era piuttosto anche prima. Il tempo lavora in tutte le direzioni. A volte mitiga le ferite, o le prescrive.
Ieri è morta Maria Sole Agnelli, a cento anni, e il Corriere ha ripubblicato un colloquio con lei che rimpiangeva Gianni Agnelli, le telefonate con lui, il modo affettuoso in cui le era stato accanto quando morì suo marito, bei ricordi. Io però non ho mai dimenticato un’antica intervista a Maria Sole di Enzo Biagi, che le chiese di nominare un difetto di Gianni, e lei ci pensò su, poi disse che non gliene veniva in mente nessuno. Ma uno, almeno uno, chi non ha un difetto, incalzò Biagi. Lei ci ripensò, poi disse: “Manca un po’ di umanità”. Ecco, è quello che succede in giro, chi di noi non ne è contagiato? Ieri l’ufficio centrale delle forze armate ucraine aggiornava, come ogni giorno, le perdite di militari russi a un milione 202 mila e 070 uomini, fra morti e feriti, dall’invasione del 24 febbraio 2022. Ma le cifre sono montate a dismisura, diranno subito i miei piccoli lettori, la prima vittima della guerra è la verità, eccetera. Certo: facciamo allora che siano la metà, dunque soltanto 601 mila e 035 uomini fra morti e feriti.
L’operazione militare speciale è stata una vittoria, vero? Certo, se oltre ad addebitare alla colpa esclusiva di Zelensky e la sua cricca qualche centinaio di migliaia di perdite umane ucraine – cioè esattamente quello che altri dicono delle vittime di Gaza, morti e amputati, colpa esclusiva di Hamas – si consideri come un costo proporzionato al fine (la conquista del 18-19 per cento del territorio ucraino, Crimea compresa) la perdita di 601 mila eccetera vite, quasi quante l’Italia nel mattatoio della Prima guerra mondiale. E però, nel conto ilare dei sostenitori della Grande Russia, la stessa orribile catasta di morti e feriti è una conferma dell’ideale, così come il numero di morti sovietici nella Grande Guerra Patriottica, forse più di 25 milioni, che loro chiamano russi, passando sopra qualche milione di ucraini. Dunque la domanda se siano più fessi o più cattivi è per il momento sospesa: mancano un po’ di umanità.
Non è un gran momento per Zelensky. Sondaggi scadenti, certi della sconfitta in un inevitabile ballottaggio – se insistesse a volersi candidare. Forse aspetta solo il momento migliore per chiamarsene fuori, in cambio di un vantaggio per il suo paese, che se ne ricorderà. I segni di una preparazione effettiva alla tenuta delle elezioni ci sono. Intanto lui sembra lasciarsi andare: I have a dream, ha detto. Abbiamo un sogno. Chi di noi in cuor suo non si augura che muoia, ha detto, salvo precisare che è un desiderio minore, e quello vero è la pace per l’Ucraina. I portavoce russi – la Russia non ha una classe politica né una classe dirigente ma ha una dovizia di portavoce a tradimento – si sono affrettati a denunciare l’inadeguatezza del cattivo attore ucraino. Anch’io mi sono interrogato. L’andamento recente del mondo mi tenta a credere che chi trovò un nemico, salvo che esaurita l’altra guancia si gingilli a offrirne di ulteriori, trovò un tesoro. E che ha buone ragioni per tenerselo caro, per farne l’oggetto dei suoi sogni.
Qualche giorno fa qui, intervistato da Nicola Mirenzi, il saggio e acuto psicoanalista Luigi Zoja (1943), di cui sono fedele lettore, mi ha fatto sobbalzare per la frase citata fra virgolette già nel sommario: “E l’unica cosa che si può fare è sparargli, se non si vuole che continui a fare del male”. Come Zelensky, Zoja non fa il nome di Putin: parla di un paranoico quando non agisca in una clinica, “dove i suoi deliri vanno ascoltati e contenuti”, bensì sulla scena della storia, dove “molte sono le similitudini tra l’uso politico della paranoia di Hitler e Stalin e quello di Putin”. Zoja in realtà ha detto semplicemente – “semplicemente” – che all’aggressione armata di un paranoico sulla terra altrui occorra rispondere sostenendo la difesa armata degli aggrediti. Né Zoja né Zelensky confidano in un attentatore tirannicida. Per giunta, il tiranno è innamorato, povero. “Semplicemente”, ogni colpo sparato da un combattente ucraino ha per bersaglio Putin e la sua contraffazione della Russia, quella che i buontemponi dei suoi stivali lustrano contro la russofobia dilagante…