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Piccola Posta
Delle due l'una: o al Cremlino ci sono degli ubriachi o dei provocatori
La Russia di Putin aveva tutti i motivi per guardarsi dal mandare i droni sulla Polonia. Aveva appena incassato l'Alaska e Pechino, la virata anti ucraina della Polonia, e l'Ucraina stessa in una posizione mai così perigliosa. Siamo alla combinazione fra potenza atomica e irresponsabilità madornale
Per una volta i putinisti hanno rinunciato a negare che i droni fossero spediti dall’esercito russo. Non che non ci abbiano provato. Spericolati come sono, hanno azzardato che l’Ucraina, diavolo d’un’Ucraina, è capace di dirottare oltre il confine i droni a lei destinati o, ancora meglio, di non intercettare i droni che, a lasciarli andare, superano la frontiera. Ma i mittenti russi hanno praticamente confessato, e soprattutto è arrivata la Bielorussia a chiarire che un po’ di quei droni venivano dal loro territorio, e i servizi ucraini non sono ancora arrivati a questo punto.
Sgombrato il campo dall’ipotesi che i droni russi in Polonia siano ucraini, scioglilingua ricorrente – i marinai della flottiglia per Gaza si incendiano le prue, e del resto le Torri Gemelle… – comincia il vero problema, e vorrei fare per una volta l’avvocato del diavolo. La Russia di Putin (quella di Putin, perché ce ne sono altre, vive, imprigionate, esiliate, o semplicemente in attesa che si scopran le tombe e si levino i morti) aveva tutti i motivi per guardarsi dal mandare 19 droni sulla Polonia. Aveva appena incassato l’Alaska e Pechino, un unico tappeto rosso srotolato sotto i suoi piedi. Si era appena aggiunta la débâcle di Macron, il più veemente avversario europeo. La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, stava per prendere la parola, in pesante difficoltà, sullo Stato dell’Unione. E soprattutto la Polonia, dove la destra nazionalista rumorosamente anti ucraina non era mai stata così aggressiva, avendo per sé il neoeletto presidente della Repubblica, Karol Nawrocki, benedetto dall’amicizia di Donald Trump. Dopo la straordinaria solidarietà iniziale con l’Ucraina aggredita, e le prime crepe aperte dalla rivolta degli agricoltori, la destra polacca ha fatto smaccatamente propria una campagna da sacro egoismo anti ucraino.
Poi c’è l’Ucraina stessa, che, in proporzione inversa al vantaggio internazionale accumulato da Putin dall’elezione di Trump, non si era mai trovata in una condizione così perigliosa. Non sottovaluto lo sforzo dei “volenterosi”, e in particolare dell’imprevisto ritorno al legame con la leadership europea del Regno Unito – benché anch’esso, come ogni governo europeo, col fiato della destra e della pseudo-sinistra populista sul collo. E leggo le incoraggianti, a dir poco, convinzioni di Anne Applebaum: “Putin sta perdendo l’offensiva di terra in Ucraina”. Temo da tempo che gli alleati dell’Ucraina e i fautori della sua difesa ignorino, o scelgano di ignorare, la progressiva difficoltà di tenuta della società ucraina, di cui le strette imprudenti nella leadership sono un sintomo. Putin, si ripete, mira a sgombrare la scena politicamente, e all’occasione fisicamente, dalla presenza di Zelensky. Ma il vero trionfo di Putin e del modello di governo della guerra e della pace di cui si è offerto al mondo come servizio d’ordine, starebbe nella rottura aperta e nella sconfessione dell’ufficio di presidenza ucraino da parte della società e delle sue componenti di opposizione.
Rispetto a tutte le situazioni che ho sommariamente elencato, l’incursione molteplice di droni russi sulla Polonia sembra, a una residua razionalità, la più controproducente. Mette nei guai l’alleato principale di Putin, Donald Trump, con un effetto complementare al colpo di Netanyahu su Doha. Rimette spettacolarmente insieme, benché provvisoriamente, Tusk e Nawrocki in Polonia. Dà ragione delle convinzioni dei finlandesi e dei baltici, che i droni addosso li ricevevano senza che facessero notizia. Rafforza di colpo i propositi di riarmo europei – e procura imprevisti applausi al discorso di Ursula von der Leyen. Induce perfino camerieri come Orbán a deplorare l’attacco alla Polonia. Fa riconoscere più o meno retoricamente anche ai riluttanti che in Ucraina è l’intera Europa a essere difesa. E dà un salutare respiro alla voce di Zelensky.
Questo ragionamento ha una conclusione. Che se il regime russo ha commesso un’azione così controproducente, non ci sono che due spiegazioni. La prima è che nei ranghi russi si annidino, in posizione eminente, notabili militari (e civili) così ubriachi o così oltranzisti, o così oltranzisti e ubriachi, da prendere iniziative tanto gravemente provocatorie. La seconda è che davvero, ignorando tutti gli effetti controproducenti che abbiamo detto, Putin e la sua gerarchia abbiano voluto saggiare, come si dice, la capacità di risposta della Nato o della parte europea della Nato o dei suoi singoli stati. Alla vigilia della grande esercitazione militare quadriennale congiunta fra Russia e Bielorussia, che prende così il rilievo di una sfida.
Nell’un caso, che chiameremo dell’ubriachezza molesta, come nell’altro, del tastare i muscoli del vicino, siamo alla combinazione fra potenza atomica e irresponsabilità madornale. L’avvertimento di Mattarella sulla guerra mondiale suscitata senza volere segnala come si vadano raccogliendo tutte le condizioni. Quelle che un giorno del 1914 fecero sì che una banda di giovanotti serbisti mazziniani irredentisti senza arte né parte finissero da starter della guerra mondiale. Non potevamo immaginarlo – dissero poi. Uno, diciannovenne, quello che al secondo giro della vettura dell’arciduca trovò il coraggio di sparare a lui e alla moglie, era tubercoloso e vergine, e siccome era minorenne e non condannabile a morte, morì quattro anni dopo in galera di tbc, vergine. I candidati al casus belli contemporaneo probabilmente sono fisicamente più in forma.