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Piccola Posta

Le ragazze ucraine che guardano all'Europa e la desolazione della gioventù russa

Adriano Sofri

I manifestanti ucraini sono giovanissimi, e sono soprattutto ragazze. La crisi della leadership di Zelensky è certo un'occasione per la propaganda putiniana, ma i cortei ucraini offrono alla gente della federazione russa un confronto impietoso. Anche nelle proteste di Tel Aviv si sono levate le immagini raccapriccianti delle piccole vittime di Gaza. In Russia non c'è niente di tutto questo

Ho guardato e riguardato le fotografie e i video delle manifestazioni nelle città ucraine contro il passo falso di Zelensky e della sua cerchia, intenzionati a liberarsi dai controlli delle due maggiori agenzie anticorruzione. Hanno manifestato in parecchie migliaia, con una rapidità che ha pareggiato la sbrigatività senza precedenti con cui la Presidenza aveva voluto far passare la sua legge, dalla presentazione alla Rada fino alla firma finale di Zelensky, in una sola giornata. I manifestanti sono soprattutto giovani e giovanissimi, e soprattutto ragazze. E’ comprensibile, perché il reclutamento ha lasciato alle ragazze le città da abitare e far vivere, e difenderne la libertà. Questa generazione aveva sì e no dieci anni durante la rivoluzione di Maidan, tra la fine del 2013 e il 2014, e se ne sente erede e incaricata di farla rivivere. Sente che sia venuto il suo tempo, complementare a quello dei suoi coetanei e dei suoi fratelli maggiori, o dei suoi padri, al fronte. Che sono, i soldati, l’altro ostacolo insuperabile a mosse in cui si senta un’aria “russa”. Chiunque conti di ricavarne dei vantaggi, questa improvvisa mobilitazione civile ha un’inequivocabile spontaneità. E si può pensare che abbia contato sulla solidarietà suscitata dall’Europa, in verità è l’Europa che ha trovato nei cortei delle ragazze e dei ragazzi ucraini il coraggio di farsi sentire.

Il destino dell’Ucraina e il personale destino politico del suo leader si sono per la prima volta dissociati. Avrebbe potuto farlo lui, Zelensky, non ha saputo né voluto. Il suo personaggio in “Servitore del Popolo” l’avrebbe fatto. E il pretesto – le infiltrazioni russe nelle agenzie anticorruzione – era una sfida troppo derisoria al buon senso. (“Se c’è una spia russa prendetelo, invece di sciogliere le istituzioni contro la corruzione”). La legge sarà comunque revocata, e ieri un gruppo di 48 parlamentari – il minimo regolamentare è di 45 – ha presentato una proposta che la cancella. Ma d’ora in poi presidenza e governo sono avvertiti: quelle ragazze li tengono d’occhio. Questo era mancato finora, com’è naturale che avvenga in una guerra e con la legge marziale. Ma quando un regime di guerra si cronicizza, può succedere solo che l’accentramento e il rischio di arbitrarietà del potere debordino, o che l’iniziativa civile faccia da contraltare democratico. E’ l’Europa, prima che la UE l’idea loro peculiare dell’Europa, ad animare quelle ragazze, quei giovani, e i veterani di Maidan o delle trincee. E c’è un’altra considerazione, dall’altra parte del confine. Che la leadership e la persona stessa di Zelensky vengano messe in discussione dall’interno è certo un’occasione per Putin e la sua triviale propaganda. Ma è vero anche, e forse più, il contrario: che lo spettacolo dei liberi, risoluti e insieme scapigliati cortei delle città ucraine offrono alla gente della federazione russa, alla sua gioventù, uno specchio in cui riconoscere la propria desolazione.


Nella notte fra mercoledì e giovedì i bombardamenti russi sono stati dei più accaniti. A Odessa hanno mirato e colpito i luoghi del cuore cittadino: la struttura storica del famoso mercato di Privoz, il portale della frutta; il Primorsky Boulevard, il gran viale monumentale dal quale scende la scalinata; il quartiere babeliano di Moldavanka, e altri edifici storici e di abitazioni. Patrimonio Unesco – cui è più impegnato il governo italiano, se ne ricordi: è successo il giorno dopo, tanto perché tutti i conti tornino a ballare, la nuova uscita degli Stati Uniti dall’Unesco.


Ho guardato e riguardato, come tutti, altre fotografie ieri, quelle di Gaza, dove continua a consumarsi una violenza così smisurata e insensata che grida vendetta al cielo e alla terra. (Non è vero che chiunque, al suo posto, avrebbe fatto quello che ha fatto e fa Netanyahu. Non è vero, e contrario, che chiunque, al suo posto, avrebbe fatto quello che fece Winston Churchill). Non c’è più una ragione per misurarsi sul nome da darle, scelga ciascuna e ciascuno, nel proprio personale tribunale. Ieri c’erano anche le fotografie e i video della manifestazione di Tel Aviv, la più grande finora, che alzava le immagini più raccapriccianti delle piccole vittime di Gaza. I paragoni fra Ucraina e medio oriente hanno funzionato come porte girevoli, secondo punti di vista opposti e duri da cambiare, nemmeno con la inconcepibile protrazione. E’ il momento di guardare i singoli pezzi, uno a uno. Anche a Gaza piccole audaci manifestazioni di dissenso da Hamas si erano tentate, presto vinte dalla repressione e altrettanto, se non più, dalla sopraffazione della debolezza, delle ferite e della fame. In Russia, dopo i primi giorni e la repressione e gli esilii, non c’è niente di tutto questo. Dopo tre anni e mezzo. Non ancora.