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Piccola Posta

Qualunque “rappresaglia” Putin stia rimuginando, avrà le spalle coperte

Adriano Sofri

Trump gli ha aperto la strada, e con lui i nostri scafati chierici. Per loro qualunque bomba cada sulla testa degli ucraini, è perché se la sono cercata, "abbaiando ai confini" o addirittura "sconfinando", "impedendo a Putin di negoziare". Lui che moriva dalla voglia di farlo

Siamo ancora lì, all’uovo o la gallina. Il telefonista di Putin, Donald Trump, ha annunciato l’inesorabile rappresaglia russa agli attacchi ucraini agli aeroporti e ai ponti in territorio russo. A nessuno sembra venire in mente che gli attacchi ucraini fossero la rappresaglia per i bombardamenti russi sulle città ucraine. Nel frattempo, si sta come d’autunno e si prova, chi ne ha voglia, a figurarsi che cosa l’intelligenza di Putin e della sua corte stia escogitando perché la rappresaglia sia enorme come Trump e un resto del mondo se l’aspetta, e magari la spera. E siccome, al suo telefonista, Putin ha finalmente chiarito che il regime di Kyiv è, oltre che nazista, “terrorista”, e terrorista il suo presidente, Zelensky, il mondo è avvertito che la rappresaglia non è tenuta a rispettare alcun limite. Né nell’arma impiegata – fino all’atomica ormai normalizzata – né nel bersaglio – lo stesso Zelensky, per esempio. Il dubbio di chi si metta nei panni del capo del Cremlino e dei suoi consiglieri (esercizio disgustoso) è se la loro scelta resti nell’unico ambito di competenza, la quantità, l’enormità, o pretenda di cimentarsi con una emulazione della qualità, dell’intelligenza e della fantasia del nemico, e inventi qualcosa. Che è difficile come cambiare natura, come immaginare che Golia riesca a spiazzare Davide, o Polifemo trovi il modo di sorprendere Ulisse. Il fatto è che, aspettando il boato della “risposta” russa, dobbiamo riconoscere di trovarci di nuovo davanti alla contrapposizione fra guerra “regolare” e guerra “partigiana” – o “di popolo”, direbbe Tolstoj, o di guerriglia. In una veste ogni volta diversa. La riprova sta in quel passo di Putin, di chiamare Zelensky e l’Ucraina “terroristi”, che è il nome che la violenza grande e grossa, “regolare”, finisce inevitabilmente per dare al partigiano. (Schmitt, Teoria del partigiano…). 


L’Ucraina invasa da una potenza troppo superiore in forza bruta – la cui quintessenza è l’arsenale nucleare – risponde con una combinazione di difesa militare e di incursioni partigiane. E’ la condizione tipica fin dalla inaugurazione moderna della guerriglia, nome compreso, nella Spagna del 1808 contro Napoleone, in cui un esercito regolare e un potente alleato internazionale, l’impero britannico, si valsero della decisiva mobilitazione popolare , della macchia e della montagna – “la montagna è il nostro unico amico”, come dicono i curdi. Era il punto più esposto di Napoleone, come nel Tirolo di Andreas Hofer, come di lì a poco nella campagna di Russia: “I francesi avevano sconfitto militarmente il nemico e nonostante questo avevano perso la guerra… Questo hanno fatto i guerriglieri in Spagna; questo hanno fatto le popolazioni montane del Caucaso; questo hanno fatto i russi nel 1812”. Vladimir Putin non deve aver letto Guerra e pace. Ma nemmeno i sapienti commentatori militari e geopolitici stranieri e nostrani, che – a loro non la si fa – assicurano che un’impresa come quella del Sbu sugli aeroporti dell’intera Russia non è possibile senza lo zampino, lo zampone, della Cia o di qualche analoga succursale. Non hanno capito l’essenziale, che far arrivare dovunque, dalla Siberia all’Artico, furgoni col doppio tetto riempito di droni da quattro soldi e apribile da remoto, e colpire con precisione i superbombardieri, non è la cosa più difficile. La cosa più difficile è averlo immaginato possibile. E dunque aver contato sull’incapacità nemica di immaginarlo possibile. Non si mette nemmeno una sentinella a guardia dei bombardieri miliardari a Irkutsk, 4.500 km dall’Ucraina, o a Murmansk, 2.200 km, perché solo un pazzo potrebbe aspettarselo. E se simili imprese sono una dimostrazione dell’ottusità di una parte, la prepotente e piena di sé, non bastano a deporre, oltre che per la temerarietà, per il valore di chi le progetta e manda a fine.

I russi avevano già pagato prezzi carissimi alla proterva ottusità, come con l’ammiraglia Moskva, lasciata a incrociare al cospetto di una marineria ucraina senza flotta. Il nostro nuovo secolo si era aperto con un’impresa ancora più pazzesca e, speriamo, irripetibile, come l’attentato alle Torri Gemelle, e non a caso anche lì si volle immaginare che ci fosse dietro altro che i lucidi invasati, che avevano saputo immaginarlo. Nella storia d’Italia, era successo col rapimento di Aldo Moro e l’uccisione della sua scorta, e anche lì non ci si rassegna agli autori di mezza tacca. “Occorre operare da partigiani ovunque vi siano partigiani”, disse Napoleone della guerriglia spagnola, e subito se ne dimenticò. “Ormai a considerare ancora molte cose come impossibili erano solo quei capi di reparti che, con i loro Stati maggiori e secondo tutte le regole, si muovevano lontano dai francesi. I partigiani delle piccole bande, invece, che già da tempo erano in azione e avevano visto i francesi da vicino, consideravano possibile anche ciò che i capi dei grandi reparti non osavano nemmeno pensare. I cosacchi e i contadini, poi, che si infiltravano tra i francesi, ritenevano che ormai tutto fosse possibile” (Guerra e pace).


Il Ventesimo secolo ha conosciuto l’auge della guerra di popolo, della guerra civile e dell’inimicizia partigiana senza riserve: dalla Russia alla Cina, dal Vietnam a Cuba. Al Libano del Mossad, del resto, che mescola prepotenza, tecnologia e invenzione. Storia antica. Spartaco travolse la superpotenza romana troppo superba e arrogante per riuscire a pensarlo. E’ difficile riconoscere nei propri schiavi una ribellione capace di umiliare le insegne romane. Si discute ancora perché Spartaco avesse rinunciato a marciare su Roma. Forse, dopo tante vittorie mirabolanti, era diventato più realista. Anche Marx, che lo ammirò come pochi, decretò che non avrebbe potuto vincere: peccato. E comunque gli uomini mancano spesso alle proprie stesse convinzioni. Carlo Pisacane era un militare, contava sugli ufficiali addestrati all’accademia, disprezzava la guerra per bande e tutt’al più la relegava ad ausiliaria della guerra rivoluzionaria regolare, e poi si imbarcò alla ventura di Sapri. Il più vicino, dei nostri risorgimentali, al Che Guevara che invece la guerra di guerriglia l’aveva teorizzata, e poi si mise dentro la Bolivia come in una sua Sapri. 


La cosiddetta guerra russo-ucraina ha una doppia asimmetria: l’arsenale atomico russo, il genio partigiano ucraino. Qualunque “rappresaglia” Putin stia rimuginando – magari quando queste righe usciranno sarà avvenuta – apparterrà alla graduatoria triviale dei kilotoni o del polonio. Avrà le spalle coperte. Trump gli ha aperto la strada. E con lui i nostri scafati chierici, per i quali qualunque bomba cada sulla loro testa gli ucraini se la saranno cercata, abbaiando ai confini, e perfino sconfinando. E così impedendo a Putin di cessare il fuoco e negoziare, lui che moriva dalla voglia di farlo.