Piccola posta

Un ricordo di Marcella Emiliani, intellettuale leale

Adriano Sofri

Ci ha lasciato una delle persone più preparate, e lucidamente appassionate, del medio oriente. Le collaborazioni coi giornali, i libri, gli studi

Marcella Emiliani è morta, e non ha visto come va a finire. Non va mai a finire, naturalmente. Ma poche persone erano preparate come lei a osservare la tragedia di Israele e Palestina, poche altrettanto lucidamente appassionate. Aveva studiato il medio oriente, l’Africa, l’Asia, era stata corrispondente di guerra. Aveva insegnato all’università, a Bologna e a Forlì, e sue allieve e allievi sono disseminati nel mondo. Aveva imparato e raccontato con qualunque altro mezzo: collaborando a giornali (l’Unità ecc.) e riviste (Il Mulino ecc.), animando con la sua amica Elena Tripodi luoghi di conoscenza e scambio come la biblioteca Amilcar Cabral, attorno alla quale Bologna ha guadagnato un primato, e femminile, negli studi che una volta si chiamavano afroasiatici. Lavorando in televisione (Mixer, di cui è stata una colonna, e per cui ha viaggiato dappertutto, Rai storia…), in radio (Radio3, Radio radicale, sulle quali si può riascoltare), nel cinema. Scrivendo i preziosi testi scolastici di geografia e storia Zanichelli – con Lisa Foa, con mio fratello… Mettendo in rete lezioni e discussioni. La sua bibliografia è vasta e varia, scientifica e divulgativa, sempre attenta alla propria lealtà, e a prendere sul serio lettrici e lettori.

Dei suoi titoli più tempestivi ricordo quelli su “Hamas. Prospettive, sviluppi, paure” (2006); “Hamas alla prova del governo. La Palestina sull’orlo della guerra civile” (2007); “La terra di chi? Geografia del conflitto arabo-israeliano-palestinese” (2008, con l’introduzione di Gianni Sofri), tutti per Il Ponte. La “biografia non autorizzata” di Saddam Hussein (2003, Guerini). Il caso Nigeria – “Petrolio, forze armate e democrazia” (2004, Carocci). Sull’Iran: “Nel nome di Omar. Rivoluzione, clero e potere in Iran” (Odoya 2008). Quello per Laterza sul tradimento delle rivoluzioni del 2011, le primavere arabe, “Purgatorio arabo” – e inferno siriano, specialmente. Ancora per Laterza, 2012, i due volumi, “Medio Oriente. Una storia dal 1918 al 1991”, e “dal 1991 a oggi”. Qui avevo riletto da poco il capitolo sull’11 settembre 2001, lo shock di quell’impresa terroristica senza precedenti, nemmeno nell’immaginazione, la sensazione attonita di onnipotenza nemica, e l’eccesso di reazione, per l’affinità turbante con lo shock del 7 ottobre e la reazione – dal cui eccesso, sulla scorta dell’11 settembre, Biden aveva invano messo in guardia. E’ stata una delle autrici più capaci di mostrare in quello che sembra un guazzabuglio insolubile e respingente di nomi e soprannomi e sigle e luoghi astrusi, una trama affascinante di avventure, sofferenze e speranze umane. E una tragedia anche, certo, insidiata da una grottesca poeticità, sempre sul punto di spezzarsi, appesa a un filo – “il capello di Muawiya”.

Di una generazione più giovane, Marcella era stata amica di Lisa Giua Foa, e con lei e con Anna Maria Gentili aveva seguito Alexander Langer e la Fondazione che ne ha ereditato e proseguito l’opera. L’amicizia ha contato decisivamente nella sua vita. E’ stata malata a lungo, se n’è andata con una straordinaria serenità. Delle persone più affettuosamente vicine è stata, coi suoi figli, Flaminia Morandi, che con lei aveva scritto e firmato due singolari romanzi, nel 1991 e nel 1992, “L’occhio chiuso del paradiso” e “Predoni di anime” (Sperling & Kupfer). Fra “romanzo saggio e romanzo poliziesco”, ne scrisse Ottavio Cecchi, di cui ho appena trovato la recensione, e ho appreso che vi figurava anche un papa ucraino. Li cito ma non li ho letti e ora mi dispiace, perché per Marcella come per Flaminia, che conobbi grazie all’Arsenale della pace torinese, ho una grande ammirazione. Per il giornale del Sermig Flaminia ha scritto di Marcella e del suo tempo all’hospice, l’occasione di prendere congedo con dolcezza, il “privilegio di essere testimone del proprio passaggio in un’altra dimensione”. Una riflessione e un saluto bellissimo, grato dell’esperienza “di un cuore finalmente libero da ogni commedia da recitare sul palcoscenico del mondo. Finalmente libero di incrociare lo sguardo perdutamente innamorato di Dio”. Così è per Flaminia, così dev’essere stato, a modo suo, anche per Marcella.

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