(foto Ansa)

Piccola posta

Giorgio Pietrostefani ha scritto un libro

Adriano Sofri

Si intitola "Una vita come un'altra", si estende per 342 pagine e ha al centro la città capitale per l'autore e la sua famiglia: L'Aquila

Piuttosto imprevedibilmente, Giorgio Pietrostefani è vivo, sia pure a modo suo, e si è messo a scrivere. O, più probabilmente, si è messo a pubblicare. Lo aveva fatto in un passato ormai remoto per le edizioni di Jaca Book, su una varietà di argomenti (la tratta atlantica, la guerra corsara, la geografia delle droghe…). Dopo di allora deve aver cumulato una mole minacciosa di scritti, e li va mettendo in pubblico, per ora nelle edizioni autoprodotte di Amazon. Ho pensato di segnalarle, anche perché i preparatori di coccodrilli, di cui sentiamo in molti il premuroso fiato sul collo, si rassegnino ad avere un compito meno corrivo e pigro del solito. Il principale, e più corposo, dei volumi finora usciti, è una puntigliosa, meticolosa autobiografia dalla nascita (e prima, dagli avi) all’arrivo a Pisa, all’università e alla voglia di cambiare se stesso e il mondo insieme ad altre e altri – il periodo che precede quello dopo il quale si dice con malinconia o con sollievo che il mondo ci ha cambiati, più o meno vero che sia.
 
Si intitola “Una vita come un’altra”, ha al centro la città capitale per l’autore e la sua famiglia, L’Aquila, e si estende per 342 pagine. Offrendo una ricostruzione volutamente dettagliata oltre che della propria esistenza esteriore e intima, anche dei modi di vita – di dire, di abitare, di frequentare persone e oggetti – di un arco di tempo lungo e gremito di cambiamenti, registrati con una imperterrita attenzione, quasi medievale, e con una memoria singolarmente esatta, che si tratti delle interrogazioni di scolaro o delle emissioni filateliche o dei motti pubblicitari e delle vicissitudini dell’abbigliamento. Quando qualcuna delle persone di cui si direbbe spensieratamente: “Lo conosco come le mie tasche”, fa una cosa del genere, succede di accorgersi che non si sapeva quasi niente di lui. Dopotutto, quelle dell’autore sono propriamente – se non le Confessioni, e di un Pietrostefani reo confesso c’è fin troppa gola – le memorie di un ottuagenario. (Il grande Ippolito Nievo scrisse le sue quando era poco più che venticinquenne, e morì, di ritorno dai Mille, naufrago annegato e mai più ritrovato, come un migrante di ieri. Senza vederle pubblicate, non c’era Amazon).
  
Gli altri, più svelti, volumi di Pietrostefani sono libri gialli, ambientati in luoghi esotici e attualissimi, in cui in un’altra delle sue vite, quella successiva al desiderio di rivoluzione e antecedente all’inquieto vivere di imputato condannato e fuoruscito, aveva viaggiato come manager d’impresa a stipulare e concludere accordi e a incontrare una congerie di personaggi pittoreschi. Aderendo al genere, i racconti hanno un protagonista fisso, “l’ingegner Perrone”, un po’ spaesato un po’ a suo agio in una vita inevitabilmente avventurosa. La storia che ho in mano si intitola “Il passaporto” e si svolge a Sanaa, e nel resto dello Yemen.
 
Ecco: questo per sommi capi. Aggiornare i coccodrilli.

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