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Sono tornato nel carcere pisano con Massimo Mapelli

Adriano Sofri

Il giornalista ha raccontato la sua personale storia di inviato, conduttore, e insieme una storia del giornalismo italiano, in un libro intitolato “Ad alta voce”. Con lui ho potuto partecipare a una visita al carcere Don Bosco e a una donazione di libri. Un'esperienza degna di nota

Massimo Mapelli è nato a Bari nel 1967 e oggi lavora nella redazione del tg della 7. Ha raccontato la sua personale storia di aspirante giornalista, inviato, conduttore, e insieme una storia del giornalismo italiano della sua generazione, in un libro intitolato “Ad alta voce” (Baldini e Castoldi). Un suo capitolo riguarda anche me, per il tempo in cui, dal carcere pisano, ebbi con lui molte occasioni di conversazione e perfino una inusuale collaborazione periodica al suo tg. L’altroieri ha presentato il suo libro a Pisa, e sono stato fra i partecipanti. Ieri mattina, con lui, con cittadini pisani che hanno avuto a che fare con la cura del carcere, con le responsabili della fondazione Nuove proposte culturali di Martina Franca, con la signora assessore pisana alla cultura, ho potuto partecipare anche a una visita al carcere Don Bosco e a una donazione di libri alla sua biblioteca. Il carcere è, sia pur castigato, un piccolo universo: di detenuti cosmopoliti, di agenti, insegnanti, assistenti, direttore, cappellano, sanitari, volontari, donne e uomini. Un luogo affollato fino a togliere il respiro che in certe occasioni rende preziose le sue distanze ravvicinate. E trasforma gli spintoni in abbracci. Come quando si dice: Scambiatevi un segno di pace. Come quando si dice: Salam aleikum. Tornare nella prigione in cui si sono trascorsi nove anni della propria vita, tanto tempo dopo, è un’esperienza degna di nota. Non ne dirò altro, per non impedirvi di immaginarla.

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