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Piccola posta

Quel filo che unisce la capretta uccisa ad Anagni e lo stupro del branco di Palermo

Adriano Sofri

Non è una giustificazione dire “eravamo ubriachi, non ci siamo resi conto di che cosa stavamo facendo” e nemmeno "non pensavamo che l’animale morisse". Il raccapriccio per vicende nate da propositi violenti o aggressivi

Ieri leggevo con raccapriccio – il raccapriccio è il sale del notiziario quotidiano – la cronaca del fatto di Anagni. Il fatto è la capretta presa a calci da due ragazzi di minor età, incitati dal contorno di amici e di telefoni impegnati a fare il video, fino alla morte della capretta, che ci ha messo un po’. “Non pensavamo che l’animale morisse”, hanno detto secondo la cronaca. E: “Eravamo ubriachi, non ci siamo resi conto di che cosa stavamo facendo”. Vincendo il raccapriccio, ho due osservazioni. La prima, che probabilmente è vero che i ragazzi erano ubriachi, ma è senz’altro vero che la capretta non aveva bevuto, né si era procurata altri modi per uscire di sé e rischiare di trovare il lupo. In generale, caprette e pecorelle sono pressoché gli unici esseri viventi che rischiano di imbattersi nel lupo, a differenza delle ragazze e delle donne, dalle quali il lupo si tiene in generale alla larga se non in qualche fiaba. Dunque: la capretta era immune da qualsiasi sventatezza o imprudenza, e ha incontrato degli adolescenti animali umani, e le è costato una gran sofferenza, la paura inspiegata e la vita. Spingendo molto oltre la tesi della difesa, che i due ragazzi e il loro pubblico eccitante “non pensassero che l’animale morisse”, si può dire che la capretta, arrivando fino a morire, un po’ se l’è cercata.

Ho letto scrupolosamente tutte le altre cronache contemporanee in qualche misura pertinenti. Erano divise in due. Quelle delle ragazze e delle donne, che parlavano delle ragazze e delle donne, di sé, sdegnate dell’ennesima idea che bisogni loro evitare ogni comportamento tale da facilitare le cose al lupo, cioè ai ragazzi e agli uomini. E quelle degli uomini e dei ragazzi, impegnati a parlare di ragazze e donne, e a spiegare la buona fede e in sostanza l’altruismo delle proprie raccomandazioni alle ragazze e alle donne, così da limitare loro le occasioni di finire in bocca al lupo, cioè agli uomini e ai ragazzi.

Dopo aver letto e riletto, la Capretta di Anagni – vorrei infatti che diventasse più celebre, istruttiva e proverbiale dello Schiaffo di Anagni – e la varietà di umani stupri singoli e di branco, ho desiderato di rinunciare alla decisione iniziale, di starmene zitto, in quanto vecchio e uomo – in quanto uomo e vecchio. Così, come chi, alla fine del dibattito, ascoltate tutte le posizioni, dal fondo della sala alzi una mano e chieda di dire la sua assicurando che sarà breve, dico. Vecchio, e uomo come sono, mi ricordo perfettamente di avere spesso bevuto, quando ero ragazzo e anche un bel po’ dopo, per avere più coraggio di affrontare le ragazze e le donne, senza chiedermi se loro avessero bevuto o no. E non avevo propositi violenti o aggressivi, pensavo per lo più che si trattasse di amore e delle sue variazioni. A leggere le cronache, si direbbe che sia successo solo a me. E dire che passavo per uno sicuro di sé.

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