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Piccola posta

Riascoltare, nella notte radiofonica, Bordin e Pannella. E avere più di un rimpianto

Adriano Sofri

Le biblioteche di Roma e Latina e il ricordo a 4 anni dalla morte del grande giornalista radiofonico (con i suoi appunti e i suoi scritti)

Massimo Bordin è morto il 17 aprile del 2019. Nei giorni scorsi, quattro anni dopo, è stato ricordato in due occasioni pubbliche. A Latina, con Daniela Preziosi, Alessio Falconio, Stefano Ceccanti e l’ospite, Antonio Currà. E a Roma, alla Biblioteca statale “Antonio Baldini”, con il direttore Umberto D’Angelo, ancora Falconio, direttore di Radio Radicale, Andrea Maori e Guido Mesiti, studiosi per l’archivio della Radio, Mirella Serri, e la direttrice della romana Biblioteca di Storia moderna e contemporanea, Patrizia Rusciani. Le due biblioteche hanno avuto il merito e il privilegio di accogliere, ordinare e mettere a disposizione del pubblico l’eredità di libri riviste e carte di Massimo. Un lascito singolare, per il contrasto con l’impressione di una trasandatezza che per un lungo tempo era sembrata il suo stile: libri metodicamente annotati, carte e foglietti meticolosamente riempiti e catalogati, per servire al suo fedele lavoro quotidiano, e forse anche col pensiero di servire un giorno al lavoro d’altri. 

 

Poi, nella mia frequente notte radiofonica – tengo la radio accesa comunque, perché il cosiddetto silenzio mi mette nelle orecchie rumori più molesti, e perché, sia detto a sua lode, alla lunga mi tiene meno sveglio della musica. Dunque poi, nel cuore della notte – bella espressione – l’archivio della radio ha scelto di rimandare una delle famose conversazioni fra Massimo e Marco Pannella, e proprio quella, del luglio 2010, in cui più animato, dispettoso, accanito, si fece l’assalto di Marco a Massimo, elegantemente sventato (era l’insulto più caro a Marco, che ne bruciava: “Tu sei elegante, io no…”). E più irriducibile la renitenza di Massimo, come quella di un mulo, o di uno scrivano Bartleby. Si trattava delle dimissioni di Massimo dalla direzione della Radio, annunciate da tempo per il 31 luglio di quell’anno, e subite da Marco come una sfida, una dissociazione politica, una diserzione, un tradimento umano. E una prova di ingratitudine, dal momento che “tu sei diventato agli occhi delle persone più popolare e riconosciuto di me e di Emma! Un plebiscito!”… Ero amico dei due, più da vicino di Marco, che, grande e grosso com’era, con me non ci provò mai, più da lontano con Massimo, ma in quel periodo non potevo fare a meno di solidarizzare con Massimo contro la prepotenza infantile e interminabile e capricciosa di Marco. (Proposi allora ad ambedue di rinunciare alla conversazione settimanale alla radio e di trasferirla tal quale su un palcoscenico teatrale, dove il reciproco, sincerissimo, gioco delle parti si sarebbe mostrato, piuttosto che increscioso come ormai spesso in radio, formidabile per il formato dei due protagonisti). 

 

L’altra notte ho ascoltato per un’ennesima volta, ed ero finalmente libero sia dall’imbarazzo che si prova davanti a un litigio esagitato, almeno da una parte, e inesorabile dall’altra, e potevo avere la più affettuosa simpatia per ambedue, la cravatta esorbitante dell’uno e la maglietta pop “dubitare disobbedire trattare” dell’altro, e sentire l’affettuosa simpatia che correva dall’uno all’altro di loro. Io, aspettando di prendere sonno, avevo in più, o in meno, un rimpianto. 

 

P. S. Massimo Bordin, non più da direttore, restò sempre alla Radio. Fece un memorabile intervento al Congresso radicale, quando era molto malato, e quando incombeva sulla radio la minaccia di chiusura da parte di un “gerarca minore” del momento. Disse di Marco come suo editore – “un editore così non lo auguro nemmeno al peggior nemico” – che aveva garantito alla radio una piena libertà.

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