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Le donne avanzano nella società. E lo raccontano anche i femminicidi

Adriano Sofri

Lo sciame di violenze e sopraffazioni maschili sono la testimonianza, estrema o parziale, dell’insofferenza di uomini sotto i cui piedi manca il terreno di una cultura universale e ufficiale. Così si rifanno nel corpo a corpo con la “propria” donna

A ridosso e quasi a compensazione della sottolineatura sull’avanzata delle donne nella società e nei posti “di potere” in occasione dell’8 marzo, si sono ripubblicati anche i dati sui femminicidi. La fonte attendibile è la Polizia criminale, ma non si può dire che le sue informazioni siano state raccolte accuratamente. Dunque: nel 2022 i femminicidi, le uccisioni volontarie di donne “in quanto donne”, sono stati 125. Nel 2021 erano stati 119, dunque c’è stato un aumento. L’aumento viene calcolato del 12 per cento tra 2022 e 2019, quando furono 111. Il 2019 è preso come termine a quo, perché allora si varò la riforma detta del Codice Rosso, che prevedeva in particolare la tempestività dell’intervento della magistratura (e della polizia) a tutela delle donne che denunciassero le minacce alla propria incolumità e libertà. (Tempestività poco rispettata dopo di allora, così che ieri è stata oggetto di una ridiscussione in Parlamento). Nel 2019 i femminicidi erano stati 111, 112 nel 2020. Però nel 2018 erano stati 133, dunque otto più che l’anno scorso. 

Per molti anni in Italia il tema dei femminicidi è stato accanitamente discusso da “minimizzatori”, o senz’altro “negazionisti”. I quali sostenevano che in realtà non ci fosse l’incremento nel numero dei femminicidi, e che il numero italiano fosse in proporzione più basso di quello della maggioranza degli altri paesi europei – quest’ultima cosa è vera, ma andrebbe commisurata ai diversi contesti storici – sociali, culturali, religiosi eccetera. Ma il dato più significativo, e più seccante per i minimizzatori, era un altro: il totale degli omicidi in Italia non ha fatto che diminuire vistosamente, soprattutto (ma non solo) per la drastica riduzione degli omicidi di criminalità organizzata. Al contrario, sia pure con numeri alti e bassi, i femminicidi non erano affatto diminuiti, e caso mai (anche in rapporto al modo di registrarli) erano cresciuti, sicché la loro percentuale sul totale degli omicidi era costantemente aumentata. (Le ragioni che, al di là dell’amore per la verità e l’esattezza statistica, spingevano e spingono i minimizzatori e i negazionisti, sono senz’altro interessanti e sintomatiche, ma ora soprassediamo).

Torniamo invece alla partenza, l’attenzione dedicata ieri ai femminicidi, quasi a bilanciare il compiacimento per l’avanzata registrata dalle donne nella nostra società e nei suoi posti di potere. Il punto è che i femminicidi, e lo sciame di violenze e sopraffazioni maschili contro le donne, non sono un contrappeso e una sconfessione a quell’avanzata, ma al contrario una riprova: la testimonianza, estrema o parziale, della sofferenza e dell’insofferenza di uomini sotto i cui piedi manca il terreno di una cultura universale e ufficiale, e che se ne procurano una infima rivalsa nel corpo a corpo con la “propria” donna: una guerra che si vede perduta, risarcita da un agguato sbandito, personale, privato. In altre parti del pianeta è ancora guerra grande, per ribadire un dominio collettivo, o per riconquistarlo, riportando in galere pubbliche e domestiche le donne che ne erano evase, o avevano solo immaginato e desiderato di farlo: afghane che vengono alla spiaggia di Cutro. A Kabul sono gli uomini che hanno – provvisoriamente – rivinto la guerra. Da noi sono alcuni uomini che, sconfitti e senza onore, se ne vendicano – poi, spesso, “tentano di togliersi la vita, invano”. Piccolissimi uomini soli, e tuttavia ancora capaci di rappresentarci, almeno un poco. 

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