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Prendere le armi e andare dalla parte sbagliata non è eroico

Adriano Sofri

La confusione delle intelligenze e delle lingue è il vero primo risultato della guerra. In quello stesso Donbas, le idee di estrema destra e i loro militanti sono attestati su ambedue le trincee. La peste rossobruna in una delle sue ultime incarnazioni

Il titolo diceva: “Primo italiano morto combattendo in Donbass”, e la domanda ansiosa del lettore era: da che parte? Nemmeno le prime parole del sommario: “Edy Ongaro, comunista…”, sarebbero bastate a spiegare da che parte. Bisognava leggere il seguito. La più stupida delle morali dell’ultimo mese, l’equidistanza, il né-né, un’indifferenza caricata di magnanimità, ora si mostrava verosimile nella circostanza estrema: da che parte sparare, da che parte morire. L’equidistanza bruciata fino alla distanza di lancio – o di caduta – di una bomba a mano. 

Poi viene la ruota libera delle risposte. Né da una parte né dall’altra, per restar fedeli al principio. Ma c’è una libertà di scelta delle persone che vuole sfuggire alla neutralità. O la sentenza: “battersi e morire per idee giuste dalla parte sbagliata”… Doppia semplificazione, definire: idee giuste, definire: parte sbagliata. Per giunta, in quello stesso Donbas, la confusione di lingue e di vite prevede anche la duplicità opposta, le idee di estrema destra e i loro militanti attestati su ambedue le trincee. La peste rossobruna in una delle sue ultime incarnazioni. 

La confusione delle intelligenze e delle lingue è il vero primo risultato della guerra. Putin che elogia il murale di Dostoevskij, “ormai cancellato in occidente”, su una facciata di Fuorigrotta. Edy Ongaro che dà al suo kalashnikov il nome di Anita, “come la moglie di Garibaldi”. Ho letto, non so se e quanto corrisponda a verità, che ci sono 8 (otto) italiani che combattono in Donbas dalla parte dei russi e 9 (nove) dalla parte degli ucraini. Forse, meglio che esercitarsi sulle categorie politiche, guardare le storie singolari che hanno portato le persone fin lì. Avere simpatia o compassione per le storie personali sembra portare a un relativismo incapace o indisposto a distinguere. Ma non bisogna averne paura. E’ il destino dei cimiteri di guerra, alla lunga, di finire in una confidenza da vicini di casa. Non occorre aspettare alla lunga per sapere che una linea netta separa una parte giusta e una parte sbagliata, e che le vite e le morti delle persone non si spartiscono docilmente secondo quella linea. 

Non ci succede di interrogarci quotidianamente sulla moralità delle nostre scelte: non se ne potrebbe vivere. E molti di noi, io per esempio, non credono in una legge divina, né in una legge di natura, cui adeguarsi. Credono, ragionevolmente, in ciò che ha insegnato il passato, quello di tutti, quello di Kant, e quello proprio: in ciò che è giusto fare e specialmente, siccome il passato ha accumulato un’enorme mole di detriti, in ciò che è giusto e necessario non fare più. La guerra vuol essere la più insormontabile di queste macerie, e oggi è ingelosita dai ghiacciai che si sciolgono, dalla plastica nel fondo marino, dall’ubiquità del virus, e si fruga in tasca per tirarne fuori il suo inverno nucleare. Quando qualcuno supera la soglia della guerra, allora ciascuna, ciascuno, deve riproporsi la questione della moralità delle proprie scelte, anche se solo per respingerla e rifugiarsi nella fuga o nella resa o nel quieto vivere. Allora bisogna ammettere che ciascuna, ciascuno, agisce seguendo le proprie convinzioni ma anche, riconoscendolo o no, la propria forza o la propria debolezza, l’equilibrio precario fra le due.

La guerra che ormai c’è è irreparabile, e ha una parte giusta, se non altro perché si difende: la gamma di scelte è pressoché infinita, e quella di darle o no le armi è impegnativa ma per i più solo simbolica. Prendere le armi e andare dalla parte sbagliata non è coerente né eroico e nemmeno l’epilogo scontato di un fallimento umano, di una fuga e di un recupero da una rissa di bar. E’ questione di una persona e del suo modo di mescolare la propria vicenda dentro il gergo e gli accidenti della storia passata grande e rovinosa: gratis, peraltro. Riserverei l’onore a quasi nessun epitaffio, per il resto il familiare augurio “Riposi in pace” va benissimo.

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