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Il linguaggio è la trincea dove si gioca la partita femminile per il Quirinale

Adriano Sofri

Qualche riflessione sulle resistenze degli uomini quando si tratta di cedere il posto alle donne, in tram o al Colle. E un'annotazione su un paio di candidature interessanti: Emma Bonino e Gianna Nannini

C’è un dibattito, non si sa se più buffo o più rivelatore. L’appello di donne a eleggere una donna alla presidenza della Repubblica viene criticato, da uomini con attaccamento e specialmente da alcune donne, come se auspicasse che sia eletta “una donna purchessia”. “Fate i nomi”, intimano critici e critiche. Certo, nomi di candidati maschi vengono fatti, e non si trovano appelli a eleggere un uomo. Eleggere un uomo è “naturale”, tant’è vero che lo si è sempre fatto. Un senso implicito è che ci si augura che sia eletto Tizio o Caio, purché non sia una donna. La lingua e il linguaggio sono le trincee decisive della resistenza, tanto più accanita quanto dissimulata, degli uomini a cedere il posto alle donne, in tram o al Quirinale. Intanto, voglio annotare un paio di modi molto eleganti (elegante è aggettivo che si riserva alle donne e ai teoremi matematici) di pronunciarsi sulla propria candidatura da parte di donne con nome e cognome.

Una è Emma Bonino, che candidata da un paio di partiti alleati, ha declinato così: “Ho detto che non sono disponibile e che c’è nella vita un tempo per ogni cosa, il mio tempo era venticinque anni fa. C’è bisogno però che anche qualche amica si faccia avanti con il rischio di vedersi sbattere la porta in faccia – io ancora ne porto i cerotti – perché nessuno le coopterà per gentilezza”. 

L’altra è Gianna Nannini, che qualche giorno fa si è candidata con un video di 15 secondi su Instagram: “Colgo quest’occasione di una voce al femminile e mi candido ufficialmente alla presidenza della Repubblica italiana”. Non ha detto perché si candida, per quali qualità pensa di poter essere una buona presidente. Ha un curriculum, è noto. L’onere della prova spetta agli altri.

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