(foto LaPresse)

Dietro la quinta del Colle

Viaggio tra le pazzie della corsa quirinalizia

Claudio Cerasa

Salvini e Meloni imbrigliati, Letta attende, Conte oscilla e Draghi ora è nelle mani del Cav. (e del quinto voto). Al premier mancano i kingmaker ma ci sono un paio di certezze 

A poco meno di due settimane dalle votazioni per eleggere il prossimo capo dello stato, la politica italiana si trova di fronte a moltissime incertezze e a pochissime certezze. Orientarsi non è semplice ma alcune evidenze esistono e arrivati a questo punto del viaggio vale la pena provare a mettere insieme i puntini. Il primo puntino, ovviamente, è quello che riguarda Mario Draghi.  Non ci sono dubbi sul fatto che il presidente del Consiglio si sia candidato al Quirinale (se non fosse così, avrebbe già detto da tempo di non essere interessato) ma non ci sono dubbi nemmeno sul fatto che la partita di Draghi si sia terribilmente complicata. Un po’ perché a Draghi mancano i kingmaker (Enrico Letta vorrebbe Draghi al Quirinale, ma con il 12 per cento dei grandi elettori a sua disposizione può fare poco, mentre Giuseppe Conte, che guida il gruppo parlamentare più rilevante tra i grandi elettori, su Draghi oscilla, nel tentativo di tenersi aperta qualsiasi soluzione). Un po’ perché chi potrebbe essere un suo kingmaker, ovvero Silvio Berlusconi, al momento ha scelto alla grande di giocare per sé. E qui arriviamo all’altra certezza che riguarda naturalmente il Cav.

 

Non tutti credono al fatto che la sua candidatura sia reale e non tutti credono al fatto che Berlusconi ci voglia provare davvero ma tutti coloro che hanno un minimo di passione per la politica devono rassegnarsi al fatto che comunque andranno le cose le carte in mano per il Quirinale oggi le ha Berlusconi. Le ha se deciderà, anche all’ultimo, di non misurarsi di fronte ai grandi elettori, indicando lui stesso dove far convergere quei voti del centrodestra che sarebbero dovuti andare sul suo nome. Ma le ha anche se, all’ultimo, deciderà di fare quello che alcuni saggi consiglieri come Gianni Letta gli hanno sconsigliato di fare, ovverosia aspettare di arrivare alla quarta votazione per tentare di aggiungere ai 451 voti del centrodestra quei sessanta voti che Berlusconi è convinto di avere pescando qua e là nei gruppi parlamentari.

Le certezze numeriche, naturalmente, quando si incrociano con le incertezze del voto segreto, tendono a mostrarsi in forme diverse rispetto a quelle che sono le apparenze. E in questo senso, la debolezza della candidatura di Berlusconi non sta nella capacità di sapere attrarre sessanta parlamentari al di fuori dal centrodestra (cosa che il Pd e il M5s potrebbero provare a evitare uscendo dall’Aula alla quarta votazione, per non indurre in tentazione) ma sta semmai nella capacità di poter governare quel 20 per cento fisiologico di franchi tiratori tradizionalmente presenti in ogni votazione quirinalizia. A differenza degli altri candidati in campo, Berlusconi, pur camminando su un pavimento incerto, ha però la certezza di avere quello che Draghi oggi non ha, ovverosia una base di partenza forte sulla quale provare a costruire una candidatura che sembra essere molto difficile più che impossibile. Una candidatura alla quale Berlusconi difficilmente rinuncerà senza aver tentato di misurarsi prima in Aula (ovviamente, solo alla quarta votazione, da quando cioè i numeri per eleggere il capo dello stato passano dai due terzi dei grandi elettori alla metà) e per questa ragione i giochi per Mario Draghi potrebbero cominciare davvero a partire dalla quinta chiamata a condizione però che il presidente del Consiglio arrivi all’appuntamento quirinalizio forte di un accordo con i partiti che al momento si fatica a intravedere all’orizzonte e che riguarda ovviamente il piano C.

Il piano C è il piano blindato per il dopo Palazzo Chigi in mancanza del quale sarà molto difficile per Draghi avere un Parlamento disposto a votarlo al Quirinale. Draghi vedrebbe bene come suoi successori a Palazzo Chigi sia Daniele Franco (ministro dell’Economia) sia Vittorio Colao (ministro dell’Innovazione) ma senza un accordo blindato tra i leader delle due coalizioni per garantire al Parlamento un futuro, la candidatura di Draghi non potrà realisticamente prendere quota (i Craxi e i De Mita che si allearono per portare Cossiga al primo turno al Quirinale oggi non si vedono). E comunque la si voglia mettere, anche al netto della possibilità non remota che il leader del Pd e quello del M5s decidano di convergere sul nome di Draghi, il risultato alla fine è quello: le incertezze sono molte, le certezze sono poche e tra le certezze c’è la consapevolezza che dieci anni dopo aver rassegnato le sue dimissioni al Quirinale da presidente del Consiglio a decidere il futuro del Quirinale, e quello del presidente del Consiglio, saranno ancora i colpi di teatro dell’incredibile Cav.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.