Da Renzi a Giorgetti, passando per Guerini. Così si muove il partito per Draghi al Quirinale

Valerio Valentini

 Le raccomandazioni al premier del ministro della Difesa, i contatti col leader di Italia viva, i penultimatum del vice di Salvini. A Palazzo Chigi avviano le "consultazioni" e attivano la diplomazia per il Colle, e non danno troppo credito alle minacce di Berlusconi

Sarà pure fondata l’ansia con cui i suoi  colonnelli in Transatlantico ridimensionano il senso della mossa, ché insomma “Lorenzo è un suo ministro, come potrebbe non dirsi pronto a dargli una mano?”. E però, se davvero qualche giorno fa a Palazzo Chigi sono iniziate quelle che un uomo di governo di Forza Italia definisce “piccole consultazioni”, è forse anche perché quelle raccomandazioni che Lorenzo Guerini ha offerto a Mario Draghi, durante i colloqui di fine di anno, alle orecchie del premier devono essere risuonate assai simili ai suggerimenti che in via più o meno diretta anche Matteo Renzi, e come lui Giancarlo Giorgetti, gli hanno consegnato nelle stesse ore.

Di qui insomma l’intensificarsi della diplomazia più alta, quella che coinvolge direttamente Draghi e i suoi collaboratori. Quella che invece non si era attivata, con  un certo scorno dei vari leader, alla vigilia della conferenza stampa del 22 dicembre. “Questo Parlamento, dal Papeete in avanti, ha dimostrato una certa propensione a ribaltarsi da fermo”, sibilava  in quelle ore Renzi, che evidenziava quanto fosse ripida la scarpata che “può portarci dall’essere il paese più efficiente dell’anno nel 2021 a quello più babbeo dell’anno nel 2022”. Un ruzzolone che passerebbe per le elezioni anticipate. Ed è per questo che il leader di Italia viva  va ripetendo ora che “lavorare all’elezione di Draghi al Quirinale significa anzitutto lavorare fin d’ora a un governo che porti a scadenza naturale la legislatura”. Ed è questa “l’intesa larga, ragionevole”, su cui il premier ha iniziato a discutere coi suoi interlocutori più fidati nei vari partiti.       

Eccolo, dunque, l’asse lungo il quale il “partito di Draghi”, il comitato promotore dell’ascesa al Colle dell’ex capo della Bce, prova a muoversi, ben lontano ancora dal venire allo scoperto. Nascostissimo resta per ora  Luigi Di Maio, che ha bisogno che Giuseppe Conte additi una via d’uscita dal labirinto in cui i gruppi parlamentari del M5s lo hanno cacciato, prima di prendere una posizione. Cosa che invece farà ufficialmente Coraggio Italia domani pomeriggio, dopo una riunione  dei 31 grandi elettori  alla Camera. E se davvero l’entusiasmo draghiano di Luigi Bruganro dovesse imporsi, allora da quell’incontro potrebbero manifestarsi i primi ufficiali sostenitori del premier per il Quirinale. E, dato significativo, arriverebbero proprio dall’alveo di quel centrodestra che formalmente resta schierato a sostegno di  Berlusconi. Sempre che il sindaco di Venezia riesca a vincere le resistenze  di Giovanni Toti, suo compagno di brigata, che invece vorrebbe che ad assumersi la responsabilità dello sfregio al Cav. sia Matteo Salvini. Che però tentenna, rimugina, resta indeciso. E anzi ora ai suoi dice di volerci credere davvero, nell’ipotesi di Berlusconi. Anche se a Renzi, due settimane fa, aveva lasciato intendere che era pronto anche lui a promuovere Draghi al Colle, così da ottenere una exit strategy per tornare all’opposizione. Che è poi anche un’ipotesi caldeggiata da Giorgetti, il quale nei giorni tesi tra Natale e Capodanno ha preferito disertare il Cdm e rifugiarsi nella sua Cazzago,  non prima però di aver fatto pervenire, a Palazzo Chigi, il suo fermissimo penultimatum: dimissioni immediate in caso di obbligo vaccinale generalizzato. Un modo, più che altro, per evidenziare che “lo stallo è ormai totale, e l’unica alternativa per superarlo è mandare Draghi al Colle e ridefinire i confini della maggioranza”. 

Ed è fiutando questa manovra che allora ieri da Arcore hanno provato a bruciare i tempi con una minaccia che a Palazzo Chigi hanno letto come perfino eccessiva, a distanza di ben 14 giorni dall’inizio delle ostilità:  “Se Draghi va al Colle, FI si ritira dal governo”, è la sintesi del dispaccio del Cav., che non vuole essere usato da chi vagheggia la nascita della famigerata “maggioranza Ursula”. Che è forse proprio quello che hanno in mente alcuni dirigenti del Pd, per i quali un governo senza la Lega, e magari con una FI a metà, sarebbe il perfetto coronamento dell’operazione “Draghi al Colle”. Alla quale Enrico Letta proverà a indirizzare la sua segreteria già stamattina, indicando un metodo (“Elezione ampia e condivisa, che dia il senso dell’emergenza e del comune sforzo per affrontarla, che parta dal perimetro della maggioranza di governo, che tuteli al massimo Draghi”) che in realtà è un nome. Draghi, appunto. Nella speranza, chissà, che poi anche le truppe in Parlamento si convincano della bontà della tesi. 
 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.