Mukhtar Ablyazov in una foto pubblicata dal sito dell'Interpol. Roma, 14 luglio 2013 (Ansa) 

piccola posta

Ablyazov è il capo dell'opposizione kazaka, e nessuno gli presta attenzione

Adriano Sofri

Nelle cronache viene di volta in volta descritto come un delinquente comune o come un dissidente coraggioso. Ora lancia accuse clamorose, che coinvolgono anche la più importante banca italiana. Possibile che non si voglia verificare quello che dice?

Non è facile raccapezzarsi col giornalismo italiano, e l’attenzione pubblica in genere. La premessa è nell’intervista di Francesco Battistini, per il Corriere della Sera del 7 gennaio, a Mukhtar Ablyazov, nella sua casa di Parigi. Ablyazov, 58 anni, fisico, in Kazakistan era stato ministro e beniamino del despota Nazarbayev, fino alla rottura nel 2003, alla fondazione del partito “Scelta democratica”, alla accanita denuncia della corruzione del regime. Che rispose condannandolo a 6 anni, incarcerandolo e torturandolo. Lo rilasciò dieci mesi dopo per le pressioni internazionali, a condizione che rinunciasse a ogni impegno politico. Operando fra Kazakistan e Russia, dal 2005 al 2009 fu a capo di una delle maggiori banche kazake e la usò per finanziare attività di opposizione, finché, trasferito a Londra, fu imputato dal suo paese e dalle autorità russe di una colossale truffa finanziaria. (Tra i truffati, secondo gli accusatori, c’erano anche banche italiane, per 250 milioni di dollari, per la gran parte di Unicredit). Cominciò allora una trafila giudiziaria che non si è mai conclusa, che ebbe il suo osceno capitolo italiano nel 2013, col rapimento romano di Alma Shalabayeva, sua moglie, e della piccola Alua.

Nelle cronache Ablyazov viene di volta in volta descritto come un delinquente comune, solo molto più grosso, o come un dissidente coraggioso. Questa volta, nel contesto della rivolta esplosa in Kazakistan, Battistini lo descrive sensatamente come “ex-ministro, ex-banchiere e dissidente… di fatto il capo dell’opposizione in esilio”. Ruolo che Ablyazov rivendica in modo perentorio. Il punto che richiama l’attenzione è questo: “Da voi ci sono tesori e proprietà di Nazarbayev… Una grande banca italiana come Unicredit ha avuto un ruolo nell’acquisto e nella vendita di asset della famiglia Nazarbayev. Nel 2007 un affiliato del dittatore, Bulat Utemuratov, ha venduto la sua banca Atf a Unicredit per 2,1 miliardi di dollari. Sei anni dopo, Unicredit l’ha rivenduta per 493 milioni a un ricco affarista kazako, Akhmetzhan Yessimov, già sindaco di Almaty, che a sua volta l’ha girata a una banca di proprietà di Nazarbayev. Nessuno ha mai fermato quest’operazione: quando già c’era stato il rapimento di mia moglie e di mia figlia, il dittatore guadagnava centinaia di milioni…”. 

L’accusa di Ablyazov ritorce pienamente quelle rivolte contro di lui. E dà i numeri, sui quali è competente. Secondo quei numeri, la più importante banca italiana avrebbe comprato e rivenduto una banca kazaka alla corte di Nazarbayev facendole guadagnare (e rimettendoci) un miliardo e 607 milioni di dollari. Ho fatto male il conto? Della complicata questione si trattò già nelle varie puntate della vicissitudine giudiziaria di Ablyazov nel Regno Unito e in Francia. Ma mi sarei aspettato che un’accusa così voluminosa, da parte del capo di fatto dell’opposizione kazaka in esilio, pubblicata sul maggior quotidiano italiano, sollevasse ben altra attenzione, da parte di ispettori più esperti di me di finanza.