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Verso l'Italia c'è "patriottismo europeo". Con buona pace di Travaglio

Adriano Sofri

Boris Johnson e l'oltranzismo brexitista si preparavano a fare uso politico della vittoria, per suggellare lo splendido isolamento e umiliare Europa, Scozia e Irlanda. Incauto calcolo. Ora Mattarella e Draghi sugli scudi

Eventi sportivi di risonanza planetaria, tanto più quando ci si divincola dalla lunga luttuosa pandemia, influenzano sia l’immagine dei popoli – nazioni, continenti – sia la politica internazionale. Ora, così all’ingrosso, direi che è andata davvero bene. L’Italia di basket ha battuto la Serbia, tradizionalmente più forte. Altezza media degli italiani maschi sui vent’anni: quasi 1,75. Dei maschi serbi: più di 1,82. Il basket è meno popolare da noi che in Serbia, dove mediamente viene fatto dello sport un uso nazionalista più spinto, e la memoria del ruolo del tifo calcistico all’avvio della guerra post-jugoslava è ancora esacerbata. Berrettini e Djokovic (1,88) si sono affrontati a Wimbledon, un serbo invincibile e un romano tipico di 25 anni, alto un metro e 96, bellissimo, forte in battuta.

 

La Coppa America si è giocata, nonostante l’infuriare del Covid, perché Jair Bolsonaro si è offerto in extremis di ospitarla, dopo che le due nazioni designate, Argentina e Colombia, avevano dovuto rinunciare per ragioni di pandemia e di disordine civile. Per Bolsonaro, a sondaggi più che dimezzati rispetto al rivale Lula, e insidiato ora anche dalla giustizia, il cui abuso dipietrista lo aveva portato alla presidenza, era l’occasione di attribuirsi un trionfo in casa del Brasile, campione uscente. Ha vinto l’Argentina di Messi (la pulce, 1,70 e 34 anni), al quale mancava solo una vittoria con la sua Nazionale, e l’ha cercata con la dedizione di un esordiente povero. “Dio mi ha allenato per questo”, ha detto, e se non tutto Dio, almeno la sua manina. Neymar (1,75) ha pianto a dirotto per venti minuti, poi ha abbracciato stretto Messi, e viceversa. Sanno perdere. Il Papa, che è ecumenico ma non internazionalista – nessuno è perfetto – ha ieri dichiarato la sua gioia per l’Argentina e per l’Italia.

 

Ci si può mostrare sportivi, l’importante è partecipare, vinca il migliore eccetera, addirittura congratularsi entusiasticamente col gol accidentale inglese del secondo minuto (un episodio di maleducazione) come ha fatto Parmitano – si capisce che dallo Spazio la Terra sia non solo piccolissima ma anche solidale; e tuttavia delle cose vanno considerati gli effetti. Gli effetti di un successo della Turchia, per esempio, erano facilmente immaginabili, dunque benedetta la sua eliminazione, cui abbiamo messo piede. E così, ammettiamolo, la Polonia, o l’Ungheria, la quale un tempo fu un formidabile simbolo di libertà oltre che di calcio. L’Inghilterra di Boris Johnson e dell’oltranzismo brexitista aveva la porzione più spropositatamente ingente dell’organizzazione del campionato europeo e dei biglietti dello stadio, e si preparava a farne un uso politico e nazionale, un po’ come Bolsonaro in Brasile, che suggellasse lo splendido isolamento e umiliasse Europa e Scozia e Irlanda. Incauto calcolo.

 

Per la prima volta, si è mostrato, ostentato, verso l’Italia un “patriottismo europeo”, che può contare più di una austerità prepotente, figurarsi quando coincide con un Recovery Fund. L’Italia, smentendo un’altra immagine consolidata, di debolezza nervosa (calcistica, per non rievocare la vergogna storica della Seconda Guerra), ha vinto due volte ai rigori, un po’ segnandoli, e soprattutto parandoli – Donnarumma, tipico ventenne di Castellammare di Stabia, metri 1,96 (miserabilmente, la parte peggiore dell’Inghilterra se l’è presa coi suoi rigoristi di colore, nel tentativo di espellere da sé l’immagine di debolezza come immigrata – viva il sindaco di Londra). Naturalmente, anche l’Italia incassa un profitto politico e civile della vittoria: Mattarella e Draghi sugli scudi. Benissimo, possono ambedue pretendere a una rappresentanza degli italiani. Intanto, l’11 luglio, mentre le persone erano distratte da futilità come la finale di Wimbledon e quella di Wembley, una nota a pie’ di pagina comunicava che gli avvocati di Grillo e di Conte avevano trovato un accordo. Si mangiavano le mani.

 

Marco Travaglio si era chiesto per tempo se lo si notasse di più se veniva e se ne stava in disparte o se non veniva per niente. Poteva seguire lo schema ossessivo collaudato: premunirsi rispetto a un’eventuale vittoria dell’Italia scrivendo un libro pieno di scherzucci sui nomi eccetera, per rivendicare che tutto il girone preliminare di Mancini imbattuto si era realizzato con e grazie alla presidenza di Giuseppe Conte, e che Draghi si sarebbe aggiudicato la vittoria da impostore, così come i miliardi del piano di ripresa e resilienza. Oppure puntare senz’altro sul disastro dell’Italia, avvertendo che aveva vinto solo con le schiappe, e che avrebbe sbattuto appena incontrate le vere squadre. Ha scelto la seconda, e deve aver pregato forte che succedesse. Deve aver gioito forte al secondo minuto. Salvini, lui, tifava per il Paraguay e per la polizia penitenziaria ai calci di rigore. Infine: Insigne, 1,63, con la maglia di Spinazzola, 1,86. E Vialli e Mancini. Un paese che non ha paura di tirare i calci di rigore, né di abbracciarsi fra le lacrime, come nel Libro Cuore. Che domenica bestiale (se Nanni Moretti vincesse a Cannes, sarebbe bello. Ma anche se no, è già stato applaudito, l’11 luglio).

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