Café Griensteidl di Reinhold Völkel, 1896 (Wikipedia) 

piccola posta

Elias Canetti "pescatore nei secoli"

Adriano Sofri

Il pensatore raccontato in un libro di Alfonso Musci. Dagli incroci con Gramsci a "Massa e potere", al riscatto dell'animalismo: metamorfosi zoologiche come antidoto alle grandi tirannie del Novecento

Dice Canetti che per risarcirsi della storia scritta dai vincitori bisogna preventivamente “spazzolarla contropelo”, “pescare nei secoli” i “cento modi” in cui le cose sarebbero potute, e potrebbero, andare. Si intitola così, “Elias Canetti. Il pescatore nei secoli”, il libro di Alfonso Musci, appena uscito per Castelvecchi. Musci è nato a Taranto nel 1981, si è laureato a Pisa in Filosofia e si è guadagnato il privilegio di passare per molti dei migliori luoghi di studio: la Scuola Normale, l’Istituto di Studi del Rinascimento fiorentino, l’Istituto di Studi storici di Napoli… Ha curato l’edizione critica di “Etica e politica” di Benedetto Croce e, su Croce, ha scritto un originale volume: “La ricerca del sé” (Quodlibet). Il suo è un caso esemplare della simpatia che avvicina lo studioso alle persone cui si dedica. 

C’è qui un accostamento singolare fra Canetti e Antonio Gramsci. Nel 1923, dopo Mosca e prima del rientro a Roma nel maggio del 1924, Gramsci è a Vienna per l’Ufficio illegale del Comintern. Canetti appena diplomato a Francoforte fa ritorno a Vienna nell’aprile del 1924, per studiare Chimica: per un mese abitano a distanza di qualche isolato. Al giovane Canetti, nato in Bulgaria nel 1905, non mancarono incontri rivelatori col movimento operaio. Era successo nel 1922 a Francoforte, quando gli operai erano sfilati in protesta per l’assassinio di Walther Rathenau. Succede di nuovo nel 1927 a Vienna, quando arde il Palazzo di Giustizia e i fucilieri fascisti agli ordini del capo della polizia uccidono 90 persone. E’ solo Karl Kraus, a differenza dei socialisti, a trovare il coraggio per denunciare le complicità governative nella strage. Da cadaveri e carte del tribunale in fiamme, spiegherà Canetti, è nato il suo “Masse und Macht”, Massa e potere, e anche il suo unico romanzo: “Die Blendung” (noto come “Auto da fé”), che si chiude con un rogo di libri. 

Pochi anni dopo, quando la guerra civile conduce all’austrofascismo di Engelbert Dollfuss, il “Millimetternich” ispirato da Mussolini, Kraus si induce invece a vedervi un freno all’invadenza nazista tedesca. Canetti sdegnato va a cercarlo a casa sua con la copia stracciata della “Fackel” in cui Kraus appoggia Dollfuss. 

C’è una famosa lettera sulle rose di Gramsci a Tania, del 1929: “A me ogni giorno viene la tentazione di tirarle un po’ per aiutarle a crescere, ma rimango incerto tra le due concezioni del mondo e dell’educazione: se essere rousseauiano e lasciar fare la natura che non sbaglia mai ed è fondamentalmente buona o se essere volontarista e sforzare la natura introducendo nell’evoluzione la mano esperta dell’uomo e il principio di autorità. Finora l’incertezza non è finita e nel capo mi tenzonano le due ideologie”. Musci la riprende per affiancare al dilemma tra “massa e potere” quello fra “spontaneità e direzione”, che attraversa i “Quaderni del carcere” e il rovello sul biennio rosso e l’esperienza torinese dei consigli. Per il chimico Canetti, le “masse libere e aperte” sono instabili ed effimere, destinate a deformarsi nell’urto con la sagoma fredda e dura del potere, “male” incurabile distillato da piccoli nuclei silenziosi: i “cristalli di massa”. Quei corpuscoli minerali che Gramsci, critico e ricreatore del concetto di “élite”, proverà, senza illusioni, a rompere, per realizzare una politica rivoluzionaria di massa non subalterna. 

Da quella Vienna, nel 1938, Adolf Eichmann caccerà più di 50.000 ebrei. Tra loro Canetti e sua moglie Veza, rifugiati a Parigi e poi a Londra, dove rimarranno e dove Elias scriverà “Massa e potere”. Canetti, sottolinea Musci, non può essere definito “impolitico” come pure è accaduto. Oltretutto a Londra scoprirà le virtù del Parlamento e dell’ordinamento liberale, che può fare a meno dei morti e dei “sopravvissuti”. La sua tentazione di fondo resterà di liberare la filosofia e ogni altro sapere dalla sudditanza allo “storicismo” (il pavido giustificare e non giustiziare) e dalla tirannia della “realtà effettuale” cui gli scienziati politici “positivi” piegano i giudizi di valore. Soprattutto, il regolamento dei conti in sospeso col nazionalsocialismo. L’opera di Canetti, dice Musci, è il verbale di un processo di Norimberga che mette sul banco degli imputati chi, da Aristotele in poi, rimuovendo la lezione presocratica dell’amore per la vita, la natura e le metamorfosi animali, ha preparato la barbarie evoluta del nazismo. L’Aristotele di Canetti, che è diverso dal naturalista della critica recente, è un anatomista senza scrupoli, che promuove l’uccisione di corpi vivi per ragioni di scienza. Nel libro gli animali occupano la scena: termiti, api, i bachi da seta cari alla Wehrmacht per la provvigione dei paracaduti. I gorilla ammaestrati di Henry Ford (e di Kafka), e gli innumerevoli straziati nei mattatoi. Animali in rivolta che invadono le metropolitane, risalgono le scale dei grattacieli e azzannano gli umani per restituire un po’ del loro dolore e prendersi un po’ di giustizia.

Musci riscatta l’“animalismo” di Canetti da quello di Konrad Lorenz – cui è stato spesso associato – nazista e teorico di una zoologia selvatica. E’ il tempo pandemico a suggerire accostamenti a Canetti e gli abusi sugli animali, da cui derivano rischi inediti. Il 75 per cento delle malattie infettive degli ultimi trent’anni è di origine animale. Quanto alla statistica proverbiale, nel 1961 uccidevamo 10 miliardi di polli da mangiare; oggi ben 85, e la popolazione mondiale è solo raddoppiata. Canetti sostiene che sia bastata la stabilizzazione biologica dell’uomo a privare l’evoluzione di altre metamorfosi: “animali mancanti” a causa dell’uomo. Di qui l’invito a “pensare per animali”. Pensare per immagini, e pensare come pensano gli animali. In fondo alla visione canettiana di tutto ciò che definiamo darwinistico, l’uomo, dice Musci, “è il sopravvissuto della storia naturale”. Come il tiranno paranoico che siede su cumuli di cadaveri e distruzione, sulle macerie della varietà biologica che va esaurendosi. Come chi sa ma non vuole ammettere che, in un tempo prossimo o remoto, quello che chiamiamo animali, natura, creato, potrà stancarsi e sbarazzarsi di noi.

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