Leonardo Sciascia (Ansa) 

piccola posta

Aldo Moro come Gregor Samsa, la "metamorfosi" spiegata da Sciascia

Adriano Sofri

Il personaggio di Kafka si trasforma in scarafaggio, ma resta Gregor finché la sua famiglia lo riconosce. Muore quando questo non succede più. Secondo Sciascia, Moro prigioniero delle Br fu disconosciuto dalla Dc e fu quella veramente la fine

Per la Piccola Posta di ieri avevo bisogno di controllare una citazione e ho ritrovato la copia più antica de “L’Affaire Moro”, quella di Sellerio 1978, con l’incisione di Fabrizio Clerici, che mi aveva regalato Leonardo Sciascia. Io scrivo delle note a matita in margine ai libri. Le note a matita, specialmente quando sono antiche, mostrano quanto poco si cambi nella vita, benché si invecchi. Vai a cercare una pagina perché ti è venuta un’idea, e scopri che ti era già venuta cinquant’anni fa. A pagina 60, accanto a una riga di una lettera di Moro a Zaccagnini con una frase terribilmente trattenuta ed evangelica – “In verità mi sento anche un po’ abbandonato da voi” – avevo scritto a matita, 43 anni fa, “Gregor Samsa”. 

L’11 settembre del 2018 ero andato a Racalmuto per parlare di Sciascia a 40 anni da “L’Affaire Moro”. C’era una bella compagnia: Antonio Di Grado, Felice Cavallaro, il sindaco Emilio Messana. Ne ho un ricordo specialmente sentito perché ero venuto con Massimo Bordin, e quella fu l’ultima volta che lo vidi, e passammo un giorno e una sera tardi molto belle, poi lui partì all’alba perché aveva da fare, o forse perché non vedeva l’ora di tornare da Daniela. Nella sala della Fondazione Sciascia, Massimo ironizzò da par suo sulle escogitazioni paranoidi e sulla proliferazione di commissioni sui misteri del caso Moro, opposte alla chiarezza del discorso di Sciascia. Io mi accontentai di riraccontare il legame fraterno fra Sciascia e Pasolini, che ispira le pagine d’apertura del libro. Aggiunsi una parte cui mi pareva di non aver mai pensato prima (ma c’era quel nome a matita del 1978) e che mi era stata suggerita dalla rilettura delle “Metamorfosi” di Kafka, sulla quale avevo appena pubblicato un libro. Gregor Samsa, il commesso viaggiatore che si risveglia mutato in un grosso insetto disgustoso, sta nella sua camera come un recluso. A lungo, finché i suoi di famiglia si prendono cura di lui, soprattutto Grete, l’amata sorella, è uno scarafaggio, ma è ancora Gregor Samsa. Cederà quando saranno i suoi a misconoscerlo, a rinnegarlo. Proprio Grete, esasperata, griderà: Dobbiamo liberarcene. “Deve sparire, è l’unico mezzo, babbo. Devi soltanto cercare di liberarti dall’idea che egli è Gregorio. E’ stata la nostra disgrazia averlo creduto per tanto tempo. Ma come può essere Gregorio? Non avremmo più fratello, ma potremmo continuare a vivere e a onorare la sua memoria”. E’ a questo punto che Gregorio Samsa, “finalmente”, muore. 

Aldo Moro ebbe sempre l’amore straziato della sua famiglia, e la nominò tante volte nelle sue lettere come la sua vera, sola ragione di vita. La Democrazia cristiana si era sempre proclamata tutrice della famiglia, ed essa stessa una “grande famiglia”: e da lei Moro fu disconosciuto. Certi capolavori letterari sono così forti da far credere di essere stati scritti proprio per l’avvenimento cui assistete attoniti, tanto tempo dopo. Una mattina Aldo Moro si svegliò, uscì di casa con la sua borsa, salì in auto e lungo la strada fu rapito mentre i cinque uomini della sua fidata scorta venivano uccisi, e fu portato in una cameretta chiusa e angusta. Continuò a essere un uomo, non diventò un insetto mostruoso, e però venne presto il momento in cui membri della sua famiglia democristiana e della famiglia degli italiani decretarono: “Non è lui! Dobbiamo smettere di pensare che quello che scrive le lettere sia Aldo Moro, nemmeno la grafia è la sua…”. Si arruolarono psichiatri, si raccolsero firme di ogni risma, onorevoli, intellettuali, “perfino un cardinale”, a certificare che non era lui, che lo disconoscevano. Si smette di resistere non quando si è mutati in uno scarafaggio, non quando si è rapiti e chiusi in un carcere del popolo, ma quando quelli che finora sono stati “i tuoi”, i tuoi amici, i tuoi seguaci, i tuoi adulatori, i tuoi beneficati, all’unisono certificano: “Non è più lui”. “Non è il Moro che abbiamo conosciuto” – firmato: gli amici di Aldo Moro. “Il vero Moro è morto!” Prima che i suoi assassini eseguissero il loro gerundio.

Capivo quella sera parlando a Racalmuto, capisco ora scrivendo, che l’accostamento di Gregor e Moro possa sembrare forzato, o addirittura scandaloso. Chiamerò a sostegno lo stesso Sciascia e il suo uso imprevisto della parola fatidica: “Certo, è scomodo si sappia che Moro ha sempre pensato così; che non sono state le Brigate rosse, con sevizie e droghe, a convertirlo alla liceità dello scambio di prigionieri tra Stato di diritto e una banda eversiva. Ma c’è rimedio: e nemmeno occorre tanto affaticarsi per applicarlo. I giornali indipendenti e di partito, i settimanali illustrati, la radio, la televisione: sono quasi tutti lì, in riga a difendere lo stato, a proclamare la metamorfosi di Moro, la sua morte civile”.

Ecco: la metamorfosi di Moro.