(foto LaPresse)

Piccola Posta

Rianimazioni aperte

Adriano Sofri

E’ la più umana delle misure, non lasciare che si muoia soli e che soli si sopravviva

Un servizio di Chiara Daina per il Corriere della Sera raccontava ieri le terapie intensive in cui si autorizzano, anzi si incoraggiano, le visite di persone care anche nei reparti riservati ai pazienti con il Covid. E’ la più umana delle misure, non lasciare che si muoia soli e che soli si sopravviva. E’ anche una parte rilevante della cura. Paolo Malacarne, che dirige la terapia intensiva pisana di Cisanello, spiega: “Per un malato con il casco ventilatorio l’idea di incontrare un proprio caro tutti i giorni aiuta a tollerare meglio il dispositivo che ha indosso, che è molto fastidioso, alienante e rumoroso. Il paziente intubato quando gli riduciamo la sedazione per qualche giorno rimane disorientato e agitato; se accanto a lui c’è un familiare si sentirà meno confuso e potremo diminuire nettamente la dose di farmaco”. Per fortuna (non è fortuna, naturalmente, è buona volontà) le terapie intensive pre e post Covid che hanno fatto questa scelta non sono più rarissime, e la Società degli anestesisti e rianimatori lavora a promuoverla. 

A Pisa l’apertura delle rianimazioni risale a più di quindici anni fa, era allora il Pronto Soccorso del vecchio ospedale di Santa Chiara. Non c’era la pandemia, e tuttavia quella iniziativa così ragionevole sembrò una rivoluzione. Bisognava vincere ostacoli materiali, di spazi, risorse umane e materiali, e soprattutto un’abitudine mentale: dirsi che si poteva fare e che era giusto farlo. La pandemia ha reso le cose più difficili: nella terapia intensiva non Covid di Pisa il tempo delle visite ha dovuto ridursi da dodici ore al giorno a quattro, e i visitatori da quattro a uno. In quella Covid le visite sono riservate a quattro persone al giorno, su otto posti letto, per una sola ora nel pomeriggio. “Da novembre, quando siamo partiti, nessun esterno si è mai infettato. Non chiediamo tamponi, ma chiunque entra deve essere munito di camice, calzari, visiera, cuffia, tre paia di guanti e mascherina ffp2. E’ necessario ogni volta un nostro operatore per garantire la procedura di vestizione e svestizione in sicurezza”. 

Ho citato ampiamente l’articolo perché so per esperienza quanto l’argomento sia importante, e per un’altra tristissima ragione. Nello stesso giorno in cui lo leggevo, la domenica di Pasqua, è morto a Pisa, per il Covid, Alberto Manfredi. Aveva 68 anni, era appena andato in pensione.  Hanno scritto i suoi colleghi: “Rimarrai sempre nei cuori degli infermieri della Rianimazione del Pronto Soccorso dove in quarant’anni di professione, con la tua umanità, tanto hai dato a quelle vite sospese nel limbo di corpi in aspettativa e ai colleghi, marinai di quel vascello corsaro, e dove ora hai lasciato la tua vita”. Vale altrettanto per il mio cuore.

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