(foto La Presse)

Piccola Posta

I diritti hanno le loro pretese e non dipendono dalla volontà dei titolari

Adriano Sofri

L’habeas corpus vale anche per l'ex terrorista in sciopero della fame, contro "l'eccesso di punizione". E il francese Cocq poteva mettere in piazza la sua ingiusta agonia

Ogni tanto le parole che usiamo ogni giorno, molte volte al giorno, ci paiono d’un tratto nuove e strane, come se fosse la prima volta. La parola “diritti”, a me ieri. Prima per la notizia su Cesare Battisti, in carcere a Oristano, che ha deciso di ricorrere allo sciopero della fame e della terapia perché ritiene violati i suoi diritti. Che questo Cesare Battisti abbia dei diritti è un’idea che suona assurda e oltraggiosa a moltissime persone, prima ancora che abbiano avuto il tempo di riflettere, e a molte anche dopo aver riflettuto. Tutto il suo comportamento sembra loro aver metodicamente bruciato la quota di diritti di cui ciascuno dispone all’origine, amministrandoli ragionevolmente o giocandoli d’azzardo fino alla bancarotta. Sentono che lui, Battisti, la sua parte l’ha dilapidata senza resto e ora il nome di diritto non può più pretendere di associarsi al suo nome. C’è un problema: che “i diritti” non sono una manifestazione, o addirittura la manifestazione principale, della proprietà privata. “I diritti” hanno le loro pretese, la prima delle quali è di rifiutarsi di dipendere dalla volontà e dagli atti dei loro singoli titolari. Qualunque cosa facciano, alcuni diritti restano attaccati loro addosso.

       

Meglio ripassare sommariamente la cosa, ho pensato. Ho aperto la lunga voce “Diritti umani” di Wikipedia, la premessa dice: “Diritti umani (o diritti dell’uomo)… rappresentano i diritti inalienabili che ogni essere umano possiede”. Prima di continuare, mi dico che “inalienabili” vuol dire che nessuno può toglierglieli, a “ogni essere umano”. E che la menzione del possesso – “che ogni essere umano possiede” – è forse anch’essa affrettata, perché i “diritti umani” sono inalienabili dallo stesso loro titolare, quando pretenda che a violarli sia un altro, persona o istituzione. Sono padrone di me stesso, ma non posso pretendere di essere torturato, o che lo Stato mi metta a morte, poiché la pena capitale è bandita. (Possiamo ignorare, in questo contesto, la distinzione fra possesso e proprietà). Continua la premessa generale: “Tra i diritti fondamentali dell’essere umano si possono ricordare: il diritto alla libertà individuale, il diritto alla vita, il diritto all’autodeterminazione, il diritto a un giusto processo, il diritto a un’esistenza dignitosa, il diritto alla libertà religiosa…, oltre che il diritto alla protezione dei propri dati personali (privacy) e il diritto di voto”.

      

Il fondamentale diritto all’habeas corpus tutela contro gli abusi del sistema giudiziario, compreso “l’eccesso di punizione”. Cesare Battisti (con lui il suo difensore) lamenta di essere recluso in isolamento diurno da un anno e mezzo, quando la pena ulteriore che gli era stata inflitta prevedeva che l’isolamento diurno durasse 6 mesi, sicché è stata scontata interamente da oltre un anno. A questa protrazione, denunciata come illegittima, Battisti associa “una contesa continua, estenuante e che coinvolge gli atti più ordinari del mio quotidiano: l’ora d’aria; l’isolamento forzato e ingiustificato; l’insufficiente attendimento medico; la ritenzione arbitraria di testi letterari; le domandine sistematicamente ignorate; oggetti di varia utilità e strumenti di lavoro negati, anche se previsti dall’ordinamento penitenziario, ecc.”. Battisti richiama “i diritti previsti in legge ma sempre ostinatamente negati”. Ora, qualunque percorso abbia portato Battisti alla cattura e alla galera, ciò che lo stato può e deve fare nei suoi confronti è di detenerlo a norma di legge finché non si dichiari matura un’alternativa, non di vendicarsene, per conto proprio o, peggio, della “società”. La situazione ha già dei tratti paradossali, perché la magistrata di sorveglianza competente a valutare la detenzione di Battisti ha constatato che “nel corso della carcerazione subita ha dato prova di partecipazione all’opera di rieducazione, facendo, inoltre, registrare una condotta regolare”, concedendogli di conseguenza i 45 giorni di riduzione della pena per semestre previsti dalla legge.

            

Per concludere: i diritti che Battisti rivendica, salva prova contraria, gli appartengono, ma dovrebbero impegnare altrettanto le autorità incaricate della sua reclusione, per così dire indipendentemente dalla sua stessa volontà. E anche i cittadini, qualunque sentimento provino. Non si ricorderà mai abbastanza quanto la violazione della legge compiuta da chi è investito dell’autorità per farla rispettare sia incomparabilmente più grave di quella compiuta da soggetti privati. I “diritti umani” seguono, e perfino perseguitano, chiunque, qualunque sia il suo passato e la sua intenzione: è l’unica persecuzione consentita e anzi obbligata.

       

Ho un’appendice, sempre dalle cronache di ieri. Su Repubblica due autori a me cari come Francesco Merlo e Michele Serra hanno sostenuto due posizioni, o due stati d’animo, opposti a proposito del cittadino francese, Alain Cocq, 57 anni, malato senza speranza di guarigione da quando ne aveva 23, cattolico e militante per il diritto a morire dignitosamente. Respinte tutte le richieste di assisterlo nel metter fine a una vita attaccata a cannule e morfina, Cocq aveva deciso di mostrare la propria agonia attraverso Facebook, che glielo ha impedito. La posizione di Merlo, solidale e nostalgica di un “giovane Pannella” capace di andare a tenere la mano di Cocq e servirgli da portavoce pubblico, e quella di Serra, spaventata da “una crescita esponenziale dell’esposizione pubblica volontaria della propria vita, del proprio corpo, dei propri spazi interni (domestici e psichici)”, hanno ambedue buonissime ragioni. Ho un’obiezione di fondo a Serra, dove ha scritto: “Perfino alla politica, che è cosa pubblica per eccellenza, non riconosco il diritto di mettere in piazza tutto ma proprio tutto. Dunque neppure ad Alain Cocq”. L’obiezione riguarda quella famosa paroletta: diritto. Serra l’ha impiegata in un’accezione morale e, per così dire, estetica nel migliore dei sensi, credo, quanto alla politica, ma non può fare altrettanto nei confronti di Alain Cocq. Non può “non riconoscergli il diritto”. Ce l’ha, riguarda la sua vita, il suo corpo – lui – la sua autodeterminazione. Tutto, ma proprio tutto.

Di più su questi argomenti: