Venezia, inaugurata la super nave MS Konigsdam alla Fincantieri di Porto Marghera

Una domanda su lavoro nero e morti bianche al presidente di Fincantieri

Adriano Sofri

Giampiero Massolo ha visto il servizio di Report che illustra il vergognoso trattamento dei lavoratori?

C’è un gran parlare di morti “bianche” e infortuni sul lavoro perché c’è un gran morire di lavoro. Non è solo retorica o indignazione d’occasione. Si imparano cose stupefacenti e insieme ovvie. Ho ascoltato in particolare una puntata di “Report” (Bernardo Iovene reporter, Sigfrido Ranucci in studio) che faceva bollire il sangue. I controlli degli ispettori sono pochi e preavvisati: questo si sa. Gli ispettori sono pochissimi e via via ridotti di numero, e assimilati in un’unica categoria (quelli già del ministero del Lavoro, dell’Inail e dell’Inps) al costo della perdita di competenze specifiche e indipendenza, e questo non lo sapevo, non comunque fino a questo punto. Che gli ispettori dell’Inps, per esempio, vadano “ad esaurimento”: una volta pensionati non sono sostituiti, sicché presto non ci saranno più, e questo ha già ridotto pesantemente il recupero dell’evasione.

 

Ogni singolo ispettore, diceva il servizio, procura allo stato il recupero di un milione di euro all’anno. Si sentono racconti grotteschi, su ispettori Inail autorizzati a visitare luoghi di lavoro solo a condizione di arrivarci coi mezzi pubblici o coi mezzi propri e a proprie spese: se il tram non ci arriva e la benzina costa il lavoro nero può star tranquillo. E così via. Ma il cuore dell’inchiesta di “Report” stava nel caso della Fincantieri: nell’illustrazione della vergogna di lavoro nero, moltiplicazione truffaldina di appalti (centinaia nella sola Porto Marghera), falsificazione di buste paga, trattamento indecente di lavoratori che si spogliano a cielo aperto accanto al bagagliaio della loro auto o del furgone che li trasporta e che mangiano seduti per terra in uno spiazzo di vecchi binari, erbacce e rifiuti. “Nei cantieri navali della Fincantieri a Porto Marghera, su cinquemila lavoratori, quattromila sono forniti da 300 società esterne. Lavorano per 3-4 euro l’ora senza alcun diritto. Un sistema definito ‘paga globale’, un’illegalità di massa che gli organi preposti al controllo non riescono a regolarizzare”.

 

Immagino che la Fincantieri, cioè lo stato italiano, sia capace di sostenere che quel trattamento non la riguardi e sia affare di appalti e subappalti che la legge permette. Non credo che la legge lo permetta, al contrario. Credo che un efficace sistema provveda ad assicurare che la legge non sia rispettata e che chi dovrebbe controllarne il rispetto sia messo nell’impossibilità di farlo, e che alla fine tutti, sfruttatori e controllori frustrati, cooperino nell’oltraggio alla dignità del lavoro e delle persone.

 

Ma scrivo qui questo misero riassunto spinto da una domanda particolare, estranea alla legge e alle competenze statutarie e limitata all’aspetto secondario che potremmo chiamare umano. La Fincantieri ha un presidente illustre, Giampiero Massolo, il cui nome è stato in risalto nei giorni scorsi come quello di un candidato ideale – forse a sua insaputa – alla guida di un governo dei Novissimi 5 stelle e Lega: già diplomatico prestigioso e collaboratore di governi diversi, responsabile dell’informazione sulla sicurezza della presidenza del Consiglio, presidente oggi anche dell’Istituto Studi di Politica Internazionale. Giampiero Massolo ha visto il servizio di “Report” che ho visto io? O è comunque a conoscenza di quell’universo di organizzazione e vilipendio del lavoro che contrassegna la Fincantieri? E, fosse anche meramente decorativa e cerimoniale la sua presidenza, e priva di qualunque responsabilità civile, penale o amministrativa, non si sente personalmente toccato da quella vergogna? Da quei lavoratori dalle buste paga – la “paga globale” – falsificate che mangiano seduti in terra in una specie di discarica senza una tettoia sul capo nell’intervallo veloce di una giornata lavorativa di dodici o tredici ore? E’ una vera domanda, la mia. Sono curioso di come è fatto il mio prossimo.